Il “tutto esaurito” e una ricerca disperata di biglietti hanno salutato l’unica, nonché prima in assoluto, data italiana di Trent Reznor e dei suoi Nine Inch Nails a Milano. Come da copione erano in molti ad attendere questo straordinario artista americano che ha centellinato nel corso degli anni la sua produzione discografica (quattro album “veri” dal 1989 ad oggi), riuscendo nonostante ciò a lasciare un segno indelebile nel panorama musicale underground.
Il concerto comincia con le note dello strumentale “Pinion” da Broken: Trent Reznor è accompagnato da una band di altri quattro elementi, un tastierista, un batterista, dal look molto “darkettone”, e due chitarristi che all’occorrenza cambiano il loro strumento con le tastiere o il basso elettrico.
Subito si coglie la differenza nell’aspetto di Reznor, non più l’emaciato e schizzato personaggio visto in molte foto e video, perennemente imbronciato. Stasera non rompe nessuno strumento (oddio, qualche microfono non se la deve essere passata proprio bene) e “addirittura” saluta e ringrazia il pubblico. Le voci sulla forte depressione che lo ha colpito trovano quasi una conferma quando prima dei bis Reznor dice al pubblico: “E’ passato tanto tempo ed è bello essere tornati”.
Ovviamente il concerto ha attinto a piene mani da The Fragile il monumentale doppio album uscito di recente: mi aspettavo delle esecuzioni molto potenti, molto rock, che esasperassero il suono ruvido e talvolta “hard” già presente in parte del disco. In realtà la scaletta ha impeccabilmente affiancato brani lenti (gli strumentali dell’album tra cui “The Frail” riproposta in una versione molto pregnante suonata dal solo Reznor) ai brani più potenti, da “Starfuckers Inc” a “Somewhat Damaged” o “The Wretched”. Gli arrangiamenti hanno riprodotto anche dal vivo la ricchezza di sonorità presente nei CD del gruppo, proponendo quindi una dimensione sonora complessa e non monodimensionale.
Per oltre novanta minuti il concerto è proseguito pescando brani dai vari album. Ben cinque sono state le riprese dall’esordio Prette Hate Machine, tra cui le mie canzoni preferite, “Terrible Lie” e “Sin” in una versione mozzafiato che ha esasperato i suoi echi “electro”. Da Broken, oltre all’intro di “Pinion” sono state riprese “Wish”, in una versione tra l’altro un po’ smorta, e “Gave up”.
Giusto tre pezzi sono invece quelli pescati da The Downward Spiral tra cui una fantastica versione di “The March of the Pigs” a cui tutto il pubblico a risposto con un “pogo” mozzafiato e l’immancabile e burinissima “Closer” col suo “romantico” ritornello di “I want to fuck you like an animal”!
Nessun è deluso al termine dell’esibizione, nessuno rimpiange i molti chilometri fatti per arrivare a Milano da ogni parte d’Italia.
Quando le luci si riaccendono appare evidente l’etereogenità del pubblico; si va dai gotici ai punk, dalla gente piena di piercing ai cloni di Marilyn Manson: quando la musica è quella “giusta” anche persone con gusti tra loro diversissimi possono trovarsi d’accordo. Non c’è da stupirsi quindi se The Fragile ha scalato le vette delle classifiche di mezzo mondo: la speranza è quella di non attendere altri cinque anni per un nuovo album e relativo tour dei Nine Inch Nails.
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