Ver Sacrum Seishinbyouin degli Atrium Carceri è il classico esempio di come l’artwork di un album possa rispecchiare perfettamente i suoi contenuti musicali. La cover ci propone un’immagine a dir poco opprimente, che raffigura una stanza semibuia della quale si riescono a distinguere solo una parete e una tenda rossa. Di lato alla tenda, in parte avvolto nell’ombra, compare un individuo vestito con una lunga tunica e con il volto coperto da una maschera, mentre seduta in terra c’è una donna in camicia da notte e con il viso nascosto dai capelli. Vista la premessa non vi stupirete nel sentirmi affermare che le quattordici tracce incluse in questo lavoro non sono la cosa più rilassante che ho sentito negli ultimi tempi, difatti esse trasmettono un senso di angoscia, di pesantezza. Si può addirittura parlare di sonorità gelide, spettrali, che evocano immagini spaventose e che sarebbero perfette come soundtrack di un bel gothic/horror movie. In lingua giapponese il titolo del disco significa “ospedale psichiatrico”, non per niente all’interno di molti dei brani ci sono parti recitate che sembrano proprio i lamenti disperati degli ospiti di uno di questi tristi luoghi. Tornando ai contenuti sonori, potrei dire che ciò che Simon Heath (il mastermind del progetto) ha composto per questo suo secondo cd è etichettabile come dark ambient, ma è anche lievemente influenzato dalla musica classica e dalla darkwave, un genere che questo artista ha molto apprezzato in passato e che adesso sta cercando di “reinventare”, inserendolo in contesti atipici. Nel complesso direi che il suo materiale è senz’altro interessante, e che è stato realizzato con grande attenzione per i dettagli e le sfumature, caratteristica che fa sì che i vari pezzi non appaiano mai troppo uguali gli uni agli altri. Non si può certo parlare di una release “innovativa”, ma di sicuro i fans di questo stile musicale non ne rimarranno delusi!