Ver Sacrum Non poteva iniziare meglio, la nuova fatica discografica di Tony Pettitt e compari, essendo “Light my way” degnissima di meritare l’onore d’aprire “Dead pool rising”! Presto bissata dalla convulsa “My possession”: due brani nephiliani fino al midollo, pregni di quella sinistra grandeur epica che ha fatto scuola, essendo imitata da diecine di pallidi epigoni. Ho resistito alla tentazione d’andar a rispolverare i vecchi lavori targati FOTN, una volta tanto Hadrianus non si è lasciato travolgere dall’onda della rimembranza, accogliendo il presente, e lo ha fatto con gioia, perchè trattasi di disco degnissimo, “DPR”, anche nel suo prosieguo, accentuando “Caged” (un altro dei tre brani che fanno parte pure della ponderosa compilazione “United Forces of Phoenix” edita dalla nostra Nomadism Records, andate a rileggervi il relativo resoconto…) l’aura di maestosa drammaticità che è uno dei marchi di fabbrica del combo inglese, e che viene perpetrata pure nelle seguenti tracks. “One moment between us” dipinge immaginifici paesaggi crepuscolari, “Descent” è violentissima, la sezione ritmica tiene un passo indiavolato, con Pettitt ben sostenuto dal valido Simon Rippin. La gran mole di lavoro svolta dalle chitarre di Chris Milden e Stephen Carey trova la sua naturale esaltazione nei brani più lunghi ed elaborati, e “Senseless” lo dimostra: una di quelle eroiche cavalcate che paiono composte ad hoc per scatenare l’entusiasmo di chi vive di questa magnifica musica! La voce del buon Peter “Bob” White tiene con sicurezza, dinanzi a noi s’aprono le immensità della prateria da attraversare al galoppo! Chiudono degnamente i sei minuti della lenta “Dead pool”, ponte fra passato e futuro del goth-rock contemporaneo. Rantolo disperato d’un peccatore morente, il pezzo è attraversato da chitarre asciutte e da un cantato soffertissimo; finale memorabile, in un crescendo evocante dolore, morte ed espiazione. “Dead pool rising” è disco obscuro e solenne, come le note sprigionate dagli strumenti che vanno ad intrecciarsi componendo un ordito cupissimo. E’ il pianto di chi ha visto morire i propri compagni, periti nell’ultimo assalto all’arma bianca, è l’orgoglio dei reduci, dei sopravvissuti alla battaglia. E’ epica, grandiosa ed austera, come pochi sanno evocare. Un disco al quale mi sono accostato con qualche riserva, e che ho finito per amare.