Esecrabili anni ’80: individualistici, consumistici, kitsch, politicamente desolanti, color pastello. Ma per molti di noi anni dell’adolescenza, della maturità, dei primi anni dell’università e della crescita individuale. Ed anche anni dell’innamoramento per suoni ed estetiche che venivano prepotenti da fuori (ah, Londra…) e che venivano rielaborati in Italia con furia e disordine, passione e fermento, ed anche incredibile prolificità. Era il periodo del punk, di Rockerilla quasi fanzine, del post punk (new wave era un termine poco usato, gothic inesistente), del ribollente universo hardcore, dei diffondersi dei centri sociali e dei locali “alternativi”. Un’epoca di entusiasmo (giovanile?) e di fermento, che mi è rimasta nella mente e nel cuore per la mancanza di steccati, nell’ambito della scena alternativa, e per l’assenza del compiacimento classificatorio in generi, sottogeneri, sottosottogeneri, che oggi la fa da padrone: insomma ai concerti dei Litfiba, dei Cheetah Chrome Motherfucker, dei Diaframma, dei Fall Out, dei Neon, dei CCCP, dei Raf Punk, dei Pagan Easter, dei Chelsea Hotel, dei Pankow trovavi più o meno la stessa gente, unita dalla stessa passione, dallo stesso linguaggio, fusi nello stesso sudore e nello stesso pogo. E poi c’erano i Not Moving, che sembravano provenire da un’altro pianeta (anche se, data la dolce amicizia che mi lega(va) al chitarrista Dome La Muerte e alla tastierista Maria Severine, posso testimoniare che erano proprio di questa terra, Pisa l’uno e Piacenza l’altra….): immagine folgorante -dark e tribale, fumosa e oscura- rimandata dalle riviste e dalle cover dei loro ormai mitici vinili, musica davvero inclassificabile. Mentre quasi tutta la realtà alternativa italiana guardava alla scena inglese come punto di riferimento, il quintetto dei Not Moving si rivolgeva piuttosto alle istanze americane (il nome della band deriva dal titolo di un pezzo dei DNA di Arto Lindsay, gruppo seminale della scena “no wave” newyorkese) e al rock’n’roll delle origini, accompagnando e spesso anticipando le intuizioni di gente come X e Gun Club. E allora nei loro dischi, e soprattutto nei loro strepitosi concerti ritrovavi il punk ed il glam, i Cramps e i Rollling Stones, la wave oscura e la psichedelia, Johnny Thunder (con il quale i nostri condivisero un mitico tour, così come fecero con i Clash… chi può vantare un tale curriculum fra i gruppi italiani?) e l’hard core, il death rock e il blues. Il tutto riproposto con una furia e un’energia uniche, con una immediatezza e con una rozzezza e ruvidità che erano in realtà ricercatissime. Onore, quindi, alla Go Down Records ( e alla Audioglobe che la distribuisce) per averci regalato questo box set con cd e dvd, cui fra l’altro l’anno scorso è stato legato persino un breve reunion tour (quando li ho visti, qui a Roma, mi sembrava di sognare), che rende perfettamente l’impatto e il suono dei Not Moving, e soprattutto le atmosfere, l’ambiente e i sapori di un’epoca intera. Nel cd, 24 pezzi live del vorticoso, frenetico, tribale rough punk’n’roll Not Moving style, spesso al limite dello psycho-billy e del surf seminale. Nel dvd, frammenti di concerti, alternati a testimonianze di protagonisti della scena di allora (attenzione a… Max Pezzali (!)), legati – sul filo del ricordo- dalla voce di Lilith, la cantante del gruppo. Il video segue tutta la storia del gruppo dalle origini alla fine avvenuta nei primi anni ’90, nonostante la testardaggine di Dome nel mantenere viva la creatura. Un’occasione per ricordare, dunque, e anche con un bel pò di nostalgia. Ma anche un’occasione per i nostri giovini per scoprire un’atmosfera ed un’attitudine irripitebili. p.s.: Mio Dio, rileggendo la recensione sembra davvero che io abbia… “una certa età”