Dopo una pausa di ben quattro anni da The Golden Age of Grotesque, suo ultimo lavoro in studio (escludendo la raccolta Lest We Forget del 2004) torna Marilyn Manson, in forma tutt’altro che smagliante. The Golden Age… mostrava momenti convincenti insieme a cose un po’ scontate, ma in generale la partnership con Tim Skold (ex KMFDM) sembrava aver giovato al sound del gruppo, virato saldamente su suoni industriali molto intriganti (si pensi ad esempio all’eccellente cover di “Personal Jesus” dei Depeche Mode). In Eat me, Drink me la partnership con Skold non è variata, anzi ne esce rafforzata più che mai visto che l’album è stato praticamente tutto scritto e in buona parte suonato dalla coppia Manson-Skold. Purtroppo però l’alchimia tra i due stavolta non riesce appieno e l’album si rivela decisamente debole. Capiamoci, i brani non sono mai orrendi e ci sono anche alcuni episodi davvero buoni, tra cui “If I was your vampire”, un pezzo lento in stile goth-rock, la dark-ballad “Just a car crash away”, che ricorda un po’ le atmosfere di “Man that you fear”, nonché l’oscura title-track. In generale però l’album delude per le sue atmosfere rock assai convenzionali. Apparentemente questo lavoro trae ispirazione musicale dal rock degli anni ’70 e ’80: talvolta queste influenze sono anche riconoscibili ma più spesso il disco deriva verso un suono AOR molto radiofonico. Skold si è poi lasciato prendere la mano nel ruolo di guitar-hero e confeziona una pletora di assoli di chitarra tanto lunghi e noiosi quanto fuori contesto. Anche il primo singolo dell’album, “Heart-Shaped Glasses”, delude abbastanza: si tratta di una canzoncina leggera leggera con suoni anni ’80 (avete presente i Cars?), davvero anonima. Pare che nei testi del CD il “nostro” abbia affrontato a cuore aperto la crisi che ha di recente attraversato, legata anche al divorzio da Dita Von Teese. A fianco a queste tematiche intime Manson, “come da contratto”, cerca di shockare i benpensanti anche in questa sua ultima fatica: dal video soft-core di “Heart-Shaped Glasses”, in cui si vede il nostro darci dentro con la sua nuova fiamma diciannovenne, a qualche riferimento luciferino qua e là nei testi (“You and Me and the Devil Makes 3”), per non parlare delle suggestioni eucaristiche che il titolo “Eat me, Drink me” può ispirare. L’impressione però è che ormai Manson abbia perso la sua carica dirompente e innovativa e abbia invece cominciato a citarsi addosso. In questa chiave quindi Eat me, Drink me suona come un album stanco, la testimonianza di un momento artisticamente critico per Marilyn Manson. Il “Reverendo” sta correndo il serio rischio di trasformarsi in una macchietta, con la sua musica destinata ad un pubblico di età sempre più bassa e con gusti a grana grossa. Riuscirà Manson nuovamente e positivamente a sorprenderci? Me lo auguro sinceramente, sperando che quest’album sia solo una momentanea sbandata. “Eat me, drink me, forget me”.
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