Talvolta capita che l’ascolto di un album ci faccia rendere conto del fatto che gli ascolti numerosi e frequenti di opere di un determinato genere possono in qualche modo spingerci a pensare di avere capacità di giudizio superiori a quelle reali: un ascolto superficiale e crediamo di essere già in grado di dire, di catalogare, di descrivere, di decidere; ma per fortuna capita anche di rendersi conto dei propri errori prima che sia troppo tardi. Questo è esattamente ciò che mi è capitato con questo The teacher and the man of lie, degli italiani The Green Man: un ascolto (evidentemente troppo) approssimativo mi aveva spinto a pensare che si trattasse dell’ennesimo lavoro di folk apocalittico trito, ritrito masticato e digerito più volte. Ebbene, niente di più sbagliato: quest’album ha uno spessore culturale e poetico tutto suo nonché una notevole ricchezza e personalità nell’approccio alla materia-prima-folk che lo rendono una produzione di assoluto valore all’interno della scena e lo sollevano ben al di sopra della media; a tale materia prima il gruppo aggiunge le influenze e gli umori più vari: fin dall’incipit, che riporta vagamente a “Set the controls for the heart of the sun”, vengono miscelate sonorità psichedeliche, ascendenti wave nei momenti elettrificati, profumi speziati di musiche etniche. Il tema dell’album è chiaramente di carattere religioso, come si può intuire già leggendo i titoli dei brani, alcuni dei quali sono cantati, altri semplicemente recitati con una pronuncia inglese assolutamente difficile da trovare in musicisti italiani; in particolare è ispirato alla religiosità degli Esseni, le setta a cui dobbiamo la conservazione dei famosi rotoli del Mar Morto e all’interno della quale qualcuno farebbe risalire le origini di Cristo. Gli arrangiamenti sono ottimi e raramente ridotti al semplice accordo di chitarra che troppo spesso monopolizza il genere. Fa sempre piacere rendersi conto che è ancora possibile essere sorpresi ma, soprattutto, che è ancora possibile registrare dischi di eccellente livello in un genere che, ormai, sembrava aver esaurito la propria vena aurea.
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