A Bad Diana: The lights are on but no-one's home
Di sicuro non si può dire che Diana Richardson sia una newcomer. Attiva nell’underground industrial londinese già dalla fine degli anni 70, con The lights are on but no-one’s home ritorna dopo 20 anni di assenza dalle scene, avvalendosi della collaborazione di personaggi ben noti agli amanti del genere come Steven Stapleton e Colin Potter. Le premesse sono ottime, e, dovendo riconoscere un principale merito a questo album, è proprio la verve sperimentale, la volontà dell’andare oltre il prevedibile, spaziando da substrati ambient gelidi e soffusi, atmosfere psichedeliche, ritmiche sporadiche in contesti ossessivi, vocals lievi e sofferte in monotone e intense litanie. Ma ciò non rende giustizia alle intenzioni. Perché sperimentare non vuol dire forzatamente arrivare allo sbadiglio, per chi scrive. Le idee sono ottime e ben congeniate, ma i migliori esercizi di stile non possono far fronte a una piattezza emotiva che spesso e volentieri affiora e, quando non si tratta di generi in cui si possono apprezzare tecniche o virtuosismi, è a mio parere indispensabile. E ciò fa sì che l’ascolto dell’intero album, a meno che non si sia già propensi a certi generi di avventure sonore, risulti pesante, e la noia rimanga in agguato. Agli ulteriori ascoltatori l’ardua sentenza.