Il quarto disco dell’insieme saldamente capitanato da Morgan Lacroix e da Terry Horn presenta diversi elementi di novità, a principiare proprio dalla formazione, ora completata da Furyo alla batteria e da Max River al basso. Ma sono sopra tutto le sonorità adottate a segnare un chiaro rinnovellamento della formula espressiva adottata nelle precedenti uscite. Volturna inietta massicce dosi di elettronica nel caratteristico e collaudato tessuto sonico del gruppo, andando a sfidare acts celebrati nell’ambito più congeniale a questi, risolvendo con successo l’equazione tra industrial/electro e rock/metal darkeggiante, operazione non così scontata come potrebbe apparire, considerando quanto conti la tradizione in ambiti estremi. “I’m goin’ alone”, “The circus” e “Deceiver” stordiscono coll’incedere irruento e massiccio, gettando comunque un ideale ponte tra passato e presente di una band che non si accontenta dell’ovvio, bensì si dichiara pronta ad accogliere nuove e probanti sfide. Rimettersi in discussione senza rinnegare quanto fatto, ed il curriculum dei MS pesa decisamente nella classica piece goth metal “Breakin’ dawn”, dall’intro affidata alle note enigmatiche del carillon; “Killin’ time” fugge veloce, aprendosi alla ballata “Blindness”, prima che “Farewell” citi apparentemente, col suo groove iresistibile, gli “Zeromancer”. Ecco la palestra ove sperimentare nuovi schemi, doppiati in “The calling from Isaiah”: cantato convincente e melodie in bell’evidenza gli elementi che impreziosiscono ulteriormente questi due episodi. La chitarra hard rock di “A chance from Him” cozza contro la voce strozzata di Morgan, creando un contesto horrorifico di grande suggestione. Se “Fade to grey” può apparir scelta allineata, quasi ovvia, sorprende la versione di “Bang bang”, scritta da Sonny Bono per sua moglie Cher e già interpretata da complessi e solisti italiani nei sessanta; appassionata interpretazione della singer nella seconda, la prima viene espressa in vece alla massima potenza. Tanz Metall! Ampie porzioni di “Nails” rimandano alle colonne sonore di qualche oscuro capolavoro nazionale dei settanta, e, come “Lui” apriva Volturna, “Heartbound Eve” lo chiude riprendendo il tema dell’intro, sviluppandosi come una accorata orazione funebre. Le anime dannate ci abbandonano in questo degnissimo epilogo dark di un disco che farà discutere, che si apprezza comunque ascolto dopo ascolto, che lievita dentro di noi lentamente, lasciandoci infine soddisfatti, a patto che sappiamo calarci appieno nelle sue torbide atmosfere. L’ennesimo centro per i Mandragora Scream!
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