Ver Sacrum Non ho mai potuto sopportare i cosiddetti tributi, spesso e volentieri accozzaglie di robaccia e scarti vari nei quali, nelle ipotesi migliori, si salvano al massimo due o tre pezzi. Qui però siamo di fronte a qualcosa di un po’ diverso, primo perché siamo di fronte a un gruppo vero e proprio (davvero azzeccato il nome, tra l’altro), secondo per la bontà dei nomi coinvolti: Matt Elliott, Yann Tiersen, Bonnie “Prince” Billy, Sylvain Chaveau e altri. Le tracce scelte pescano per lo più tra i primi album, ma d’altronde la musica dei Coil è una creatura sfuggente e mutevole, e favorire i brani più vicini alla forma canzone è una scelta comprensibile. Davvero splendida la versione pianistica di “Red Queen”, mentre la versione cameristica di “Ostia” rivaleggia con quella che fu degli Unto Ashes. Prevedibile ma altrettanto bello il jazz notturno che avvolge coi suoi fumi “Tattoed Man”, e il trattamento corale, con tanto di mandolino, riservato da Matt Elliott a “Teenage Lightning”, ma il vero pezzo capolavoro è il minimale loop di chitarra che adorna “Amber Rain” ad opera di Chaveau. Il tocco distintivo di ogni artista è riconoscibile, pur restando una omogeneità di fondo che mantiene il livello sempre alto. È un disco davvero eccellente, a dimostrazione di quanto, a cinque anni dalla prematura scomparsa di Jhon Balance, i Coil siano stati un gruppo seminale.