La perenne ricerca di una “next big thing” in qualunque ambito musicale porta sovente sotto i riflettori bands destinate a rivelarsi spesso solo delle chimere; ovviamente è presto per dire quale sarà il destino degli O. Children, ma il loro omonimo debut-album sta suscitando legittimi entusiasmi tra le file degli amanti del “gothic-sound” e della dark-wave. Se paragoni raccolti sul web, con bands come Sisters of Mercy e Bauhaus mi paiono francamente lasciare il tempo che trovano, è pur vero che la musica degli O. Children trasuda di rimandi a quella corrente musicale, a mio avviso rammentando in particolare Joy Division e Nick Cave prima maniera (del resto è da un suo pezzo che la band prende il nome) e la voce di Tobias O’Kandi ricorda molto tanto quella di Ian Curtis quanto quella dell’australiano; la figura del vocalist degli O. Children è innegabilmente uno dei tratti salienti (almeno a livello d’immagine) della band, visto che si tratta di un ragazzo di colore alto più di due metri!  Sono dieci le tracce incluse in O. Children, disco che si apre magistralmente con “Malo”, uno dei brani di punta dell’album, nonché uno di quelli dalle atmosfere maggiormente “dark”, con chitarre e synth che ci riportano indietro nel tempo; tali atmosfere trovano la propria sublimazione nell’eccellente “Ruins”, la perfetta “gothic-song” del nuovo millennio, brano per altro supportato da un bel video. “Radio Waves” non può non rievocare nuovamente i Joy Division, mentre ” Dead Disco Dancer “, ha caratteristiche maggiormente indie e forse anche per via del titolo, mi fa pensare agli Smiths. “Heels”, “Fault line” ed “Ezekiel’s Son” sono altri ottimi episodi di un disco che trova nella conclusiva “Dont’ dig” l’unico momento non particolarmente brillante. Il quartetto inglese realizza con O. Children un fragoroso debut-album, disco impedibile per gli amanti delle sonorità oscure di matrice anni ’80, sperando che sia solo il primo passo di una luminosa carriera.