Il pittoresco titolo del nuovo album degli Earth è praticamente un riassunto della carriera del gruppo: dal pesantissimo drone degli esordi, statico e monolitico, la musica del gruppo di Dylan Carlson si è via via schiarita, fatta più melodica e aperta. Dall’oscurità alla luce, ma a quanto pare questo percorso non ha giovato molto al gruppo. Il nuovo disco procede sulle traiettorie già tracciate dal discreto “The Bees Made Honey…” con pochissime differenze. L’album precedente era un tripudio di progressioni post-rock trasudanti atmosfere desertiche, da vecchio West. Scenari da Sergio Leone lisergici ed estatici, affascinanti quanto si vuole, ma diciamocelo: “Hex, Or Printing In The Infernal Method”, che sempre sulla commistione di americana e drone lisergico si basava, era tutta un’altra cosa. Non è un album brutto, perché piacerà a chi ha apprezzato anche l’album precedente, però l’unica differenza è che ora è stato aggiunto un violoncello al posto del dimissionario organo di Steve Moore. Troppo poco per un’opera così ambiziosa (il secondo capitolo uscirà tra qualche mese), ma comunque un disco senza infamia e senza lode.