La città nera è uscito già da circa un anno, ma vale la pena di parlarne in quanto è uno dei pochi romanzi italiani recenti che si cimentino con il genere della fantascienza apocalittica, proponendo un contenuto politico ben ‘leggibile’. L’autore, Mauro Baldrati, ha avuto esperienze come giornalista e fotografo e questo tipo di formazione ha visibilmente influenzato la sua scrittura, che procede essenzialmente per immagini, talvolta, in effetti, anche a scapito dello stile letterario.
Il romanzo colpisce per alcuni aspetti di totale originalità, primo tra tutti l’ambientazione: la vicenda infatti si svolge a Roma, ma credo che questa Roma non la riconoscerebbe neanche Anna Magnani! Baldrati ne ha fatto una specie di inferno metropolitano: via San Pietro, via il Colosseo, via le passeggiatine a Trastevere: ciò che, leggendo, visualizziamo è una specie di Manhattan come appare in 1997: Fuga da New York.
Interi quartieri del tutto svuotati o abitati dai ‘paria’ della società, le opere d’arte e i monumenti smontati e ricostruiti all’interno delle lussuose abitazioni dei dirigenti governativi e dei politici potenti, zone demolite ed invase da macerie metalliche: tutti gli stereotipi di Roma ‘caput mundi’ spazzati via in un soffio e se non fosse per qualche nome di strada dal suono familiare si potrebbe pensare di trovarsi in una qualche metropoli del terzo mondo trasferita nel futuro.
Questa città ormai impossibile da vivere è la capitale di un regime autoritario e violento (la Repubblica Sociale!?) il cui braccio armato, la Guardia Pretoriana, è identica alla Gestapo, o quanto meno parente stretta; sulla sue strade tuttavia circolano in segreto i membri della Resistenza (in ogni regime una Resistenza è d’obbligo!) nonchè personaggi solitari e tormentati, schiacciati da sofferenze troppo pesanti da portare e inconsapevolmente alla ricerca di una via d’uscita. A costoro neanche la conoscenza della storia dei gloriosi tempi trascorsi può arrecare conforto, né fornire insegnamento: nella ‘città nera’, infatti, il passato è stato cancellato e pochissimi ne ricordano ormai il valore.
Ne ha memoria, però, il protagonista del libro, il poliziotto Antonio Draghi che, strappato alla sua routine grigia e senza speranza da una chiamata importante, si ritrova gravato da un difficile incarico dietro il quale si celano, in realtà, intrighi e manovre che gli si riveleranno soltanto in un secondo momento. L’obiettivo che deve raggiungere gli impone, in sostanza, di svolgere delle ricerche che lo condurranno in molte zone della città normalmente non frequentate dai poliziotti: attraverso i suoi occhi, dunque, veniamo folgorati da orribili istantanee di quartieri popolati dalla ‘feccia’, gente dalle origini più disparate che tra l’altro tende a raggrupparsi in base all’etnia (!) erigendosi intorno sbarramenti di difesa; del resto associarsi creando delle piccole comunità appare l’unica possibilità di sopravvivenza in un mondo in cui esistono grossi problemi a soddisfare persino le esigenze fondamentali, poiché mancano cibo, materie prime ma, soprattutto, acqua.
Ciascuno di questi raggruppamenti ha escogitato propri sistemi per resistere alla sorveglianza invadente e violenta del regime che, per il resto, tiene tutto quanto sotto un controllo brutale (i paralleli con Orwell si sprecano…) Nel corso delle sua indagini il nostro poliziotto finirà inevitabilmente con l’entrare in contatto con membri della Resistenza: essi lo aiuteranno a prendere coscienza di situazioni che egli aveva comunque già intuito, spingendolo ad assumere delle posizioni ben precise, di certo diverse da quelle da cui era partito.
Lo scenario e la costruzione dei personaggi sono quindi, a mio avviso, l’aspetto più interessante de La città nera, al di là della storia in sé che, per quanto ben congegnata, è simile a molte altre trame avventurose di fantascienza. La narrazione, un po’ ‘faticosa’ all’inizio, decolla poco più in là con ritmo e caratteristiche che, vista anche l’attenzione per l’’immagine’, la rendono decisamente ‘cinematografica’. Il chiaro messaggio politico ha spinto alcuni a ricercare, nella Roma ‘nera’ di Baldrati, delle analogie con la nostra realtà attuale che, a mio parere, non sono molto fondate, se non in modo del tutto generico: fra la violenza armata e ‘in divisa’ del romanzo e la sottile – ma non meno efficace – oppressione ‘mediatica’ che ci è familiare c’è una bella differenza!
L’autore non si sofferma, per altro, a descrivere la situazione in seguito a cui la città di Roma è giunta alla catastrofe descritta nel libro: se ci sia stata una guerra, un colpo di stato, una sciagura naturale non è dato sapere. Questo dimostra secondo me che l’intento politico rimane un’indicazione forte ma generica: ciò che conta è il gusto per la narrazione fantastica, in particolare il racconto del vagabondaggio disperato in luoghi oscuri del protagonista, nel tentativo di salvare l’umanità da un incombente, terribile rovina. In questo girovagare senza speranza, il poliziotto Draghi, comprendendo a fondo le difficoltà, il dramma e la sofferenza di tanta gente, finisce con il ritrovare se stesso e anche degli ideali in cui credere.
Mauro Baldrati: La città nera (Perdisa Editore, 2010, pagine 352, 18,50 euro