Che il ritorno di Carpenter dopo una decina d’anni di distanza dal grande schermo abbia destato tante discussioni e critiche era da prevedere ed è anche un dato positivo: nonostante le disavventure nella giungla di Hollywood e i presunti fallimenti delle ultime pellicole, un lavoro di Carpenter è comunque in grado di suscitare l’interesse generale. L’accoglienza di The Ward – Il Reparto è stata tuttavia spesso tiepida e, sinceramente, non riesco a immaginare che cosa mai la critica potesse aspettarsi da un maestro dell’horror universalmente riconosciuto come lui.

Può darsi che la trama non sia originale, né brillante – per altro si sa che il cineasta non ha praticamente messo mano alla sceneggiatura – ma la sapiente regia, il mestiere consumato e la mano sicura con cui il ‘vecchio’ Carpenter guida gli attori sono sufficienti a garantire spettacolo, suspense e adrenalina al punto giusto. I tempi di Halloween – ma anche quelli del Seme della follia!sono lontani, è vero, ma oggi come oggi perfino i capolavori per i quali Carpenter è maggiormente conosciuto ed elogiato apparirebbero forse irrimediabilmente datati: troppa acqua è passata sotto i ponti e non è più tanto facile impressionare un pubblico abituato a ogni genere di visioni.

Con The Ward, a mio avviso, il regista si è, per così dire, ‘modernizzato’, scegliendo di avvicinarsi all’horror psicologico oggi tanto di moda e di rispolverare l’ambientazione ‘manicomiale’ già presente ne Il seme della follia; egli sa poi rielaborare con intelligenza uno degli aspetti più frequentemente presenti nel cinema horror, cioè il divario fra realtà ed apparenza. Inoltre, diversamente da tanti moderni registi del genere, Carpenter evita di cadere nel trash più insulso e, con la raffinatezza del grande artista, riesce a creare un’atmosfera di tensione ed aspettativa in un film a basso budget in cui gli effetti speciali sono praticamente inesistenti.

La tecnica è quella che conosciamo: la cura per il dettaglio – anche il più insignificante ha un ruolo ed una motivazione che appariranno chiari in seguito – insieme alla capacità di riprendere scene e luoghi abituali nella vita quotidiana trasformandoli nel teatro di eventi terrificanti. Gli angoscianti corridoi del ‘reparto’, ove si aggirano cupi personaggi alla ricerca di se stessi non sono certo un’invenzione di Carpenter. Ma è tutta sua l’abilità con la quale egli riesce a dirigere un cast costituito in prevalenza da giovani attrici per niente note, per farne prototipi di follia e tormento interiore. Stavolta l’oggetto dell’indagine è, con ogni evidenza, la psicologia femminile nella sua complessità. La protagonista del film ne è un tipico esempio: la sua personalità si ricostruisce a poco a poco, riunendo i vari ‘tasselli’ che emergono dal presente – apparente! – e dal passato, mediante flashback almeno inizialmente incomprensibili.

Simultaneamente, però, il regista pilota la tensione degli spettatori fino a convincerli dell’esistenza di una misteriosa ed orribile presenza assetata di vendetta che minaccia le giovani pazienti del manicomio. La vicenda, per tanti versi di una semplicità elementare, dopo che le belle immagini dei titoli di testa – accompagnate da una musica deliziosamente inquietante – anticipano un inizio da storia del cinema, si sviluppa spingendo progressivamente l’emozione fino al parossismo: qua e là colpiscono alcune scene memorabili tra le quali, tanto per fare un esempio, quella in cui le ospiti del reparto fanno la doccia e lo spettatore ha finalmente la percezione chiara di una ‘figura’ estranea al gruppo. La tensione sale rapidamente, per giungere infine all’efficace – non solo perché inatteso! – colpo di scena che tanta critica ha trovato – chissà perché? – eccessivo e fuori luogo e che ribalta tutte le convinzioni già maturate nel corso del film, svelando una realtà in precedenza solo accennata da segnali divenuti finalmente chiari.

Va detto, a onor del vero, che chi abbia già visto l’anno scorso il bellissimo Shutter Island, non rimarrà sopraffatto per la sorpresa da questo finale, per altro molto più lineare ed asciutto di quello quasi ‘epico’ di Scorsese; ma si tratta di pellicole molto diverse, soprattutto per quanto riguarda gli obiettivi che si pongono. Scorsese, infatti, si inoltra fra i ‘mostri’ della mente umana da acuto indagatore della personalità, mentre Carpenter rimane, prima di tutto, il creatore di film horror: gestire i meccanismi che causano la paura resta per lui prioritario, anche quando, come in questo caso, il male è nato da un trauma e si è annidato nell’intimo e nella mente di una donna, per la quale i ‘mostri’ non sono, in fondo, che proiezioni.

The Ward – Il reparto è, a mio parere, decisamente un’opera da vedere, nella quale, se proprio vogliamo rimpiangere qualcosa, manca solo una storica colonna sonora: storica come quelle, a tutti ben note, che John Carpenter ha saputo comporre per altri suoi memorabili lavori.