Non avere eccessive aspettative è il miglior modo per non restare delusi. E’ con questo atteggiamento “low-profile” che mi ero accostato al concerto di Death In June in programma a Retorbido (Pavia), seconda data italiana dopo quella tenuta a Roma la settimana precedente, all’interno del tour che celebrava i trent’anni della Morte In Giugno e che, salvo ripensamenti, dovrebbe rappresentare l’atto d’addio di Douglas Pierce, almeno per quanto riguarda le esibizioni dal vivo.
Nella mia mente è ancora indelebile il ricordo del mio primo concerto di Death In June (Modena, Dicembre 1991) ed altrettanto memorabile fu l’esibizione di Torino (1997); decisamente meno entusiasmanti furono invece le due tappe che ebbi modo di seguire all’interno del mini-tour italiano del 2002.
Erano quindi ben nove anni che Douglas P. mancava dall’Italia e nel frattempo anche le sue ultime fatiche discografiche non sono state certamente indimenticabili, ma al cuor non si comanda e mancare un concerto di Death In June a pochi chilometri da casa sarebbe stato sacrilego. Così, pur se non coinvolto nel clima di esasperata attesa ed euforia che aveva inevitabilmente (e forse anche giustamente) coinvolto sopratutto chi non aveva mai visto i Death In June dal vivo, eccomi al Carlito’s Way di Retorbido, locale sperduto nel cuore della campagna pavese. Il concerto è “sold out” da tempo (400 i biglietti venduti), ma nonostante questo conquisto senza problemi le primissime file, da cui non mi allonterò fino alla fine della serata.
Quando arrivo nel locale sta già suonando Vurgart, progetto che non conosco assolutamente e che, per quel poco che ho distrattamente ascoltato, non mi ha minimamente colpito. Sul palco, un ragazzo solo, imbraccia la chitarra e sciorina neo-folk ordinario. Trascurabile.
E’ quindi la volta di FIRE+ICE; Ian Read è accompagnato da John Murphy (che poi suonerà anche come secondo membro di Death In June) alle percussioni e dal signor Vurgart alla chitarra. Come sa chi ha un minimo di confidenza con questo progetto, il suo è un sound neo-folk che ama attingere alla tradizione (tra i pezzi ho riconosciuto anche la famosa ballata irlandese “The wind that shakes the barley”) per un’esibizione interessante, ma sin troppo monocorde, che si ravviva un po’ (più che altro per l’entusiasmo dei fans) solo nel momento in cui Douglas P. si unisce al trio per l’esecuzione di un pezzo. La voce di Ian (che al termine del concerto annuncia l’imminente publicazione di un nuovo disco) è sempre affascinante, ma nel complesso il suo repertorio risulta un po’ noioso
Dopo una breve attesa, rispettando con assoluta puntualità l’orario annunciato, ecco DEATH IN JUNE. Douglas P. e John Murphy indossano maschere e mimetiche e mi basta il devastante trittico con cui aprono il concerto per cancellare ogni dubbio e rinnovare in me l’amore per questo progetto. Voci, percussioni e una base con campionamenti vocali presi (credo) da qualche film, bastano per creare un’atmosfera magica, in cui i simboli (totenkopf, whiphand, maschere e mimetiche) sprigionano tutta la loro magica potenza. “Til the living flesh is burned”, “Bring in the night” e “Death of a man”, sono eseguite in maniera magistrale, in un clima da rituale esoterico e basterebbero già a promuovere quest’esibizione!
Il tempo di levarsi la maschera, indossare cappellino mimetico ed occhiali ed imbracciare la chitarra e Douglas P. dà il via ad una lunghissima carrellata di immortali hits acustici. “Ku Ku Ku” apre una serie infinita di brani storici che comprende (tra le altre): “But, what ends when the symbols shatter?”, “Rose clouds of holocaust”, “Luther’s Army”, “Fields of rape”, “Leper lord”, “Death of the west”, “Little black angel”, “Giddy giddy carousel”, “To drown a rose”, “Come before christ and murder love”, “She said destroy”, “The honour of silence”, “Symbols of the sun”, “All pigs must die”, “Kameradschaft”, ecc… Da sottolineare che “Peaceful snow” e “Maverick chamber” rendono molto di più eseguite con chitarra e percussioni, rispetto alle versioni per pianoforte che hanno caratterizzato lo spiazzante ultimo album di Death In June.
Se vogliamo cercare punti deboli in quest’esibizone ed essere iper-critici, potremmo rilevare una mancanza di “sacralità” rispetto ai concerti degli anni passati; questa sera c’è un’aria sin troppo spensierata, sopratutto in Douglas, che a tratti mi ha dato l’impressione di essere stanco e non più molto coinvolto in ciò che stava facendo. Chiede al pubblico suggerimenti sui brani da eseguire (anche se in realtà mi è parso che abbia assecondato ben poco le varie richieste, seguendo invece uno schema di massima già ben predisposto) e talvolta ringrazia per gli applausi facendo l’inchino e levandosi il cappello. Se la fase acustica ha avuto (paradossalmente) il difetto di aver proposto sin troppi brani, il primo set di bis torna a far impennare le quotazioni della serata, grazie ad un altro trittico micidiale: “Runes and men” (tra le più richieste dal pubblico, con prevedibile “italian wine”, rispetto al testo originale), “Heaven Street” e l’immancabile “C’est un rève” (questa sera oltre a Klaus Barbie ci si chiede dov’è Gheddafi)… emozioni da pelle d’oca.
L’entusiasmo del pubblico (di cui sottolineo con piacere l’educazione, visto che una volta tanto non ho visto spintoni, gente che chiacchierava e disturbava e tanto meno look ambigui o saluti romani) porta i nostri nuovamente sul palco, ma indubbiamnete la scelta dei due bis finali lascia un po’ l’amaro in bocca, visto che “He’s disabled” e “Hollows of devotion” non sono certo tra i pezzi migliori del repertorio di Douglas e soprattutto non viene eseguita (nonostante le incessanti richieste) “Fall apart”, forse l’unica grossa assenza di questa immane scaletta. In definitiva, pur con dei limiti e pur senza poter eguagliare (ma era ovvio) il ricordo dei favolosi concerti a cui ho avuto la fortuna di assistere tanti anni fa, questa serata va archiviata con un bilancio certamente positivo e sull’importanza storica di un progetto come Death in June, nessuno può avanzare alcun dubbio. Heilige Leben!
Ottima recensione, Candyman… Mi trovi perfettamente d’accordo su tutto!! Essendo stato anche a Roma la settimana precedente, posso solo aggiungere che “Fall apart” in quell’occasione era stata invece fatta a scapito di “come before Christ and murder love”, e i bis finali erano stati senza dubbio più emozionanti (concerto chiuso con “C’est un rève”).
Seguo il progetto di Douglas P. da anni e solo ora,nel 2011, riesco a vederlo dal vivo_Sono rimasto positivamente sorpreso dal pubblico,stranamente coinvolto,e dalla voce di Douglas che si sentiva bene_Avrei voluto ascoltarlo tutta la notte,uno spettacolo semplice,diretto al cuore_Spero che il viaggio della “Morte In Giugno” ci porti ancora belle soddisfazioni_Però, la prossima volta, voglio vedere sul palco anche Tony e Patrick O Kill… 🙂