La prolificità di Jerome Reuter è ormai proverbiale; siamo infatti al sesto album (o meglio, all’ottavo, visto che il lavoro di cui stiamo per parlare è composto da ben tre full-lenght!) nel giro di cinque anni, ma ancora una volta Rome ci dimostra di saper coniugare quantità e qualità. Die Aesthetik der Herrschaftsfreiheit è un “concept” sul tema della rivolta, come detto, articolato su tre diversi album, che nella prima tiratura sono racchiusi in un elegante cofanetto (ma da metà Gennaio 2012 i tre dischi saranno disponibili anche singolarmente). I tre album sono denominati Aufbruch / A Cross of Wheat, Aufruhr / A Cross of Fire ed Aufgabe / A Cross of Flowers, e sono corredati da veri e propri libri, con copertina rigida, testi e foto che in massima parte ritraggono partigiani del periodo della guerra civile spagnola (tema evidentemente caro a Jerome, visto che su di esso era imperniato l’album Flowers from exile). Ogni album contiene dodici nuove canzoni, per un totale quindi di trentasei tracce, che vedono il musicista lussemburghese trarre ispirazione dai lavori di scrittori, filosofi e drammaturghi come Brecht, Neruda, Nietzsche, Russell, ecc….. a sottolineare ancora una volta la matrice “intellettuale” che ha sin qui contraddistinto tutta la discografia di Rome. La qualità del prodotto è eccellente; Jerome miscela sapientemente quanto sin qui prodotto nei precedenti dischi, spaziando attraverso il neo-folk e la tradizione cantautoriale, per realizzare alcune tra le più belle canzoni che abbia mai composto: autentiche poesie intrise di malinconia che fanno di quest’opera un caposaldo della sua discografia e di tutto un genere; è per altro palese quanto possa essere limitativo confinare Rome negli steccati del “neo-folk”. Volendo fare una panoramica su cotanto materiale, possiamo notare come sul primo album ritroviamo “Our Holy rue” e “The Merchant fleet”, brani pubblicati nei mesi scorsi come singolo in vinile formato 12″; il primo è un pezzo che si rifà alla marzialità-industrial di un brano come “Death of a man” di Death In June, mentre la seconda è una classica ballata neo-folk. Su queste stesse coordinate si snodano (spaziando nelle tracklist dei tre album) “The Spanish drummer”, “All for naught”, “Seeds of liberation”, “You threw it at me like stones”, “Ballots and bullets”, ecc… mentre tratti più prettamente marziali hanno brani come “Sons of Aeeth”, “The Angry brigade” e “The Brute engine”. Tre eccellenti album, uniti da uno stesso filo conduttore, per un’opera imperdibile nella sua globalità; indubbiamente uno dei dischi dell’anno. “Art holds a unity that history does not”.