Dopo un lungo periodo di “ban” a causa del livello infimo di alcuni album, ho deciso di dare un’altra chance al gruppo di Albin Julius, cogliendo l’occasione dell’ennesimo cambio di rotta del gruppo; in fondo in fondo devo ammettere che The Digging … non è malvagio, surprise surprise! Tanti i cambiamenti: il nome del gruppo adesso è quello esteso, che sembra strizzare l’occhio ad Acid Mothers Temple e le sue varie incarnazioni (qui se volete sbizzarrivi a trovare le citazioni) le tracce hanno un nome e la musica non è più imbarazzante come in When Did Wonderland End? e The Philosopher’s Stone. C’è voluto qualche annetto, però finalmente Albin & co sono riusciti a trovare la quadratura del cerchio e a bilanciare per bene le varie dosi. Il rock acidissimo resta il minimo comune denominatore di tutti i brani, con la notevole differenza che oltre a essere nettamente migliorato da un punto di vista compositivo, l’album si apre anche a territori differenti come il riuscito connubio tra psichedelia e darkwave di “Birds of Prey”, a mio parere uno dei migliori brani di Der Blutharsch degli ultimi anni, con una linea di basso che richiama direttamente la wave inglese che ci piace tanto. Anche nel reparto vocale, da sempre punto debole del gruppo, sono stati fatti notevoli progressi, che in soldoni vuol dire che la voce da cavernicolo è stata accantonata a favore di soluzioni più ascoltabili. Resta ancora un po’ aspra e sgradevole in alcuni momenti, come ad esempio in “Reincarnation”, ma rispetto a un paio di anni fa la differenza è palpabile. Non male anche “The Final Stand”, che pare essere presa di peso dal “vecchio” Der Blutarsch e rivista con lo spirito del nuovo.
Non finirà di certo tra gli annali della storia della musica, ma il nuovo Der Blutharsch è un disco piacevole che saprà regalare qualche bel momento a chi cerca qualcosa di diverso dal solito grazie a una miscela piuttosto originale e (finalmente!) ben riuscita che amalgama generi diversi e agli antipodi tra loro.