Recensendo Disease, il loro album di esordio, notai l’evidente debito che i Minusheart pagavano ai gruppi EBM del passato, sebbene fossero anche presenti degli elementi più in linea con i tempi. Questo The Big Idea rappresenta una sorpresa visto che il suono della band tedesca è cambiato in modo decisamente netto. Il maggiore utilizzo delle chitarre, presenti in ben nove dei dodici pezzi dell’album, ha irrobustito il loro sound che ora è più propriamente virato su una electro piuttosto oscura, pur non priva di spunti pop, con delle marcate influenze rock-industriali (o Neue Deutsche Härte se preferite) nei riff di chitarra, qualche richiamo al goth (ditemi se “Book of love” non vi ricorda un po’ i Sisters dell’epoca Vision Thing) e, tanto per gradire, una punta di TBM. Anche in questo CD, come in Disease, il gruppo dimostra di avere delle idee gradevoli, di saperle confezionare bene, producendo delle canzoni decenti, seppur mai dei capolavori, abbastanza orecchiabili per scalare le classifiche ma sufficientemente “strane” per essere apprezzate nella scena underground. Un po’ limitante è il fatto che i loro pezzi sembrano essere costruiti in modo meccanico, quasi algoritmico: parte l’intro, segue il corpo, arriva il ritornello e si ripete il tutto (emblematica in questo senso è l’iniziale “Inglorious bang”). In complesso la proposta dei Minusheart si ascolta con piacere, ma non sono certo un gruppo che, allo stato attuale almeno, sembra destinato a lasciare il segno. In questo dualismo tra electro-dark e sonorità più rock-indus escono fuori dei pezzi abbastanza gradevoli (“Don’t call it love” dal testo demenziale, costruito citando decine e decine di nomi di porno-star, la già citata “Inglorious bang”, “Drawback”) insieme a delle burinate che solo nelle lande di Germania riescono a produrre (“Peak of pleasure”, “Break out”). Sarà interessante a questo punto capire quale evoluzione avranno i Minusheart, se rimarranno cioè nei confini della scena electro o se cercheranno di fare il grande passo in una direzione più mainstream, magari irrobustendo ancora di più il loro suono.