Le aspettative erano alte: avevo già assistito ad un concerto degli Anathema il 14 luglio 2010 per il Pistoia Blues. Bello, ma non come avrei voluto: allora avevano suonato insieme ad altre band, per un tempo limitato. Avendo immediatamente preceduto i Porcupine Tree, si erano trovati sostanzialmente ad intrattenere i loro fan, impazienti dopo ore di attesa. Nel 2011, poi, due date come supporto ai Dream Theater e infatti avevo disertato… Stavolta doveva essere diverso, la serata, il pubblico erano per loro e si trattava dell’unico appuntamento italiano. Un pubblico prevalentemente giovane ma non solo, soprattutto una platea di conoscitori della loro musica desiderosi di scatenarsi nella fremente e calda atmosfera dell’Alcatraz di Milano

Prima degli Anathema si sono esibiti gli Amplifier da Manchester UK. In effetti di loro conoscevo poco o nulla e oggi non posso dire di saperne di più, avendo colpevolmente concesso loro appena un briciolo di attenzione: già del tutto proiettata al dopo, non sono riuscita a concentrarmi sulla musica che, tuttavia, è stata sufficientemente applaudita. Alfieri di una forma espressiva che rientra nel cosiddetto ‘alternative’, Sel Balamir, Neil Mahony, Matt Brobin e Steve Durose si sono doverosamente impegnati per un’ora circa, sfornando un suono in qualche passaggio veramente ‘duro’, il che è servito a scaldare parecchio l’atmosfera.

Così, quando i nostri, introdotti dalle note di “A new machine” dei Pink Floyd che, francamente, non ho riconosciuto, hanno fatto il loro ingresso sul palco, l’emozione è stata grande. Il loro ultimo album, Weather Systems, è uscito nel mese di aprile (https://www.versacrum.com/vs/2012/04/anathema-weather-systems.html) e quindi la scaletta comprendeva prevalentemente brani tratti da esso. Sono rimasta abbastanza sorpresa dalla risposta positiva del pubblico che, evidentemente, ha accolto molto bene l’ultima fatica del gruppo, in totale controtendenza con tutti coloro che oggi criticano gli Anathema perché non sono più ‘heavy’ a sufficienza. Probabilmente la frangia metal dei fan li ha abbandonati ormai da qualche anno, non accettando il ‘nuovo corso’ della loro musica. In ogni caso, anche i nuovi brani, suonati dal vivo con la passione e la forza che li ha sempre contraddistinti, fanno la loro figura e sanno coinvolgere profondamente. Come già annunciato nell’autunno dell’anno scorso, il tastierista Les Smith non milita più nel gruppo, sostituito nel tour dal multistrumentista Daniel Cardoso; Jamie Cavanagh, invece, era fortunatamente al suo posto come sempre.

L’apertura è stata con “Untouchable, Part 1” e “Untouchable, Part 2”, i primi due pezzi del nuovo album, efficacemente eseguiti ed accolti da molti applausi, diretti anche alla cantante, Lee Douglas, che si è comportata davvero bene anche nella successiva “Lightning Song”. E’ stata poi la volta di due tracce da We’re Here Because We’re Here, “Thin Air” e Dreaming Light”, ma l’aria è diventata assai incandescente con la splendida “Deep”, uno dei classici della band tratta da Judgement del 1999: trascinante, appassionata, davvero unica. Dallo stesso disco, uno dei miei preferiti, ecco arrivare la molto più gotica “Emotional Winter” che i nostri hanno eseguito decisamente più ‘tirata’. Con “A simple mistake” da We’re Here Because We’re Here è tornata in scena la cantante Lee Douglas che, ovviamente, si ritira quando vengono suonati i vecchi successi. La sua presenza è stata molto apprezzata anche in “The Storm Before the Calm”, brano di Weather Systems che, dal vivo, ha avuto una resa assolutamente eccezionale. Altro episodio suggestivo ed emozionante “The Beginning and the End”, uno dei pezzi dell’album che preferisco e che mi ha provocato un certo batticuore. Ma poi è arrivato – strepitoso! – “Panic”, un altro classico da A Fine Day to Exit che ha spazzato con energia ogni avanzo di romanticismo. Quello che non mi aspettavo è che avrei avuto l’opportunità di riascoltare anche la magica e struggente “Flying”, una delle loro tracce più note da uno dei loro dischi più noti, A Natural Disaster. E dopo ci sono state regalate anche “Closer” e, introdotta dalle prime note “Shine on your crazy diamond” dei Pink Floyd che, in pratica, hanno fatto da numi tutelari virtuali, anche “A natural disaster”: questa, in particolare, ha consentito alla nostra Lee di esprimersi al meglio e, tra l’altro, è stata suonata nell’oscurità poichè Vincent, con una piccola vanità da ‘rockstar’ che gli abbiamo volentieri perdonato, aveva chiesto al pubblico di illuminare l’ambiente con le luci dei cellulari. In chiusura, “Shroud of False” e “Fragile Dreams”, da Alternative 4 hanno letteralmente mandato la platea in visibilio: anche i più compassati non hanno resistito! Il bilancio della serata è stato più che positivo, tutto ha funzionato in modo eccezionale e, se non ci fosse stata un gruppetto veramente maleducato fra le prime file, che è intervenuto spesso con inutili urla disturbando gli stessi artisti, avremmo avuto il concerto perfetto. Ma persone del genere, bene o male, si ritrovano spesso alle esibizioni rock…e la perfezione purtroppo non esiste.