Sono cosciente di essere qui in controtendenza quando confesso di non essere una fan abituale di Faith and the Muse, progetto ‘ culto’ dell’underground americano, costituito da Monica Richards and William Faith, dei quali l’ultimo lavoro risale ormai al 2009. La Richards, già punk girl nei mitici ’80, coltiva simultaneamente la sua carriera solista e ci regala quest’anno, dopo Infrawarrior del 2006, il secondo album Naiades, per il quale bisogna assolutamente spendere qualche parola. Come si sa, le Naiadi (Ναϊάδες) erano, nella mitologia greca, le ninfe delle acque ed avevano facoltà guaritrici. La stessa artista, parlando dell’uscita del nuovo disco, aveva affermato che, in esso, l’acqua è centrale. La sua musica, infatti, è ricca e piena di sfaccettature: a tratti quasi ‘cangiante’ e pronta ad ‘illuminarsi’ come per un raggio di sole, in altri casi piena di mistero come quando si scende in oscuri abissi. Questo effetto è ottenuto con l’uso di una varietà di elementi eterogenei, messi insieme in modo inusuale: il risultato è talmente positivo da fare di questo album un ascolto piacevole e coinvolgente. Il primo brano “Naiades” ha l’impostazione di un pezzo dei migliori Dead Can Dance: un canto estremamente suggestivo emerge dall’ombra di enigmatici accordi di chitarra e disegna nell’aria oscure visioni. Seguono l’altrettanto sorprendente “Armistice”, in cui l’atmosfera è arricchita da ritmi death-rock e “Pride”, autentico incubo goth-rock. “Endbegin” è di certo una delle tracce migliori del disco: un inizio lento e cupo fra note che cadono gelide, un incedere di suoni elettronici sopra i quali il canto evoca immagini desolate e, alla fine, il ritmo accelera incalzante con voci in angosciosa sovrapposizione. Anche “Scylla and Charybdis” si serve di ‘giochi’ vocali che, ravvivati da percussioni tribali, ci ricordano proprio la Siouxsie dei Creatures. La bellissima “The Mighty” ci accoglie con parole parlate mentre le tastiere in sottofondo celebrano inquietanti misteri che confluiscono, negli ultimi due minuti, in un’esaltante danza sabbatica, mentre “Lureinlay” esordisce con tastiere e note di violino che accompagnano la sconcertante voce, a volte solo un sussurro, a volte ipnotica – e pericolosa! – come il canto delle sirene. “The Strange Familiar”, già apparsa nell’omonimo EP che ha introdotto il successivo album, è forse la traccia più ‘convenzionale’ perché strutturata sulla base di una melodia quasi ‘orecchiabile’: ma la raffinatezza dello stile della Richards ne fa ugualmente un piccolo gioiello. Vale la pena, alla fine, menzionare il bel libro curato da lei stessa e allegato al CD, che contiene disegni e foto ispirati alla musica realizzati da vari artisti contemporanei, tra i quali Bernie Wrightson, James O’Barr, Daniele Serra e molti altri.
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