A confronto col (desolante) panorama discografico nazionale, teso alla pallida reiterazione di modelli predefiniti troppo spesso di derivazione foresta, Phaléne d’onyx rifulge come una stella lontana, ma perfettamente visibile all’occhio più attento ed allenato, muta ed austera nella sconfinata volta celeste, o come un diamante confitto nel fondo d’un astuccio d’ebano. Elitaria, elabora la colta lezione impartita da Sacerdoti di arcani culti sonori quali Univers Zero e Present, e tutta la genia maledetta del R.I.O. (Rock in Opposition), fra silenzi inquietanti ai quali fanno seguito fragorosi e repenti crescendi, colle corde degli istromenti tese allo spasimo, pronte a tagliare con spietata grazia i muri di cartapesta eretti dall’humana indifferenza. Come l’asceta trova ristoro interiore ed ispirazione nella solitudine del deserto, Autunna Et Sa Rose, dall’alto di una carriera mirabile, compiono un ulteriore sforzo volto alla definizione di un modello d’Arte che coinvolge musica, teatro e poesia; unici limiti sono quelli della capacità di comprensione dell’ascoltatore, ma è un rischio che ogni Artista deve mettere in preventivo. Non ci si deve appressare a Phaléne d’onyx senza adeguata preparazione, essendo costretti quasi ad un esercizio spirituale per compenetrarlo appieno, e buon viatico è l’attenta lettura del libretto, seguita da una opportuna visita a sito del progetto, assai dettagliato e chiarissimo al proposito. La struttura del disco, intro, outro, sei intermezzi e sette composizioni rimescola le carte e rifiuta la codificazione dei ruoli precipui d’ogni singolo episodio; le parti recitate prevalgono nell’introduzione e nell’epilogo, oltre che nelle stazioni intermedie, ove s’assiste al letterale smembramento del testo da parte della soprano Sonia Visentin e della mezzo-soprano Matilde Secchi, le quali assecondano le frasi alla propria vena interpretativa, lasciando lo sfogo istromentale espressione di massima libertà creativa del fautore massimo di Phaléne d’onyx, Saverio Tesolato, a quelle recanti titolo autonomo. L’elegantissimo booklet curato da Disorder è fondamentale, mi ripeto, per la piena comprensione di Phaléne d’onyx, ma è pure grazia per gli occhi, senso altrimenti posto in secondo piano da tanta opulenza sonora. La peculiare bellezza di quest’opera la colloca in un ambito assai selezionato, eppure coll’impegno che giustamente pretende (come premiare altrimenti i suoi fautori?), ed in virtù della sua struttura che fornisce una lettura teatrale al tutt’uno, risulta fruibile anche a colui che non frequenta abitualmente questi ambiti. Il mio amico Joyce, nel quartier generale della Cuneiform Records, adorerà Phaléne d’onyx al pari d’una divinità pre-colombiana, trovando in essa una degnissima pretendente al lascito dei suoi amati Univers Zero. Una volta tanto sarò io a fornirgli la dritta!
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