Scavare nella storia di uno dei progetti più intriganti del metal italiano. Un’operazione d’archeologia, come l’esplorazione d’una necropoli etrusca (“The etruscan prophecy” suggestionò la mia fervida fantasia di giuovine ricercatore dell’oscuro, nel lontano 1989 quando venne tratto dalle tenebre), essendo la componente occulta (intesa nell’accezione di arcana, impenetrabile, e quivi mi ricollego all’accoglienza che il pubblico ineducato riservò all’epoca della prima pubblicazione) fondamentale del particolare patrimonio sonoro dei Dark Quarterer. Segnalando pure il parallelismo tra la loro Piombino e la plumbea Birmingham ove Tony Iommi forgiò letteralmente quei riff che sono tutt’oggi codici imprescindibili d’ogni opera metallica che meriti rispetto ed attenzione. Con un evidente ed ulteriore merito che va ascritto ai toscani: l’aver sempre intrapreso una via personale, che trasse virtù dal fondamentale magistero professato dai grandi del prog italiano dei settanta (la magnifica “The ambush” è quadro denso, illustrando la natura selvaggia ed incorrotta che risalta fra le rovine, come in un quadro di Salvator Rosa), vivendolo di riflesso, avendo origine i DQ dagli Omega Erre che, come cover band, fecero palestra delle opere di Black Sabbath, Thin Lizzy, Led Zeppelin, e che evidentemente ascoltavano con attenzione non solo quanto proveniva d’oltralpe. Protagoniste le tastiere suonate da Francesco Longhi, evocative (l’intro liturgico di “Gates of hell” apre un brano inquietante, dall’andamento sofferente come un’autentica processione d’anime dannate), magniloquenti (in “Colossus of argil” l’organo tesse trame compatte, rimandando agli Uriah Heep del key-wizard Ken Hensley), evidenziando subito uno dei punti cardine d’un suono unico, epico-progressivo per citar Claudio Cubito (che così lo definì sulle storiche pagine di Rockerilla), prossimo per spirito (ma più profondo rispetto ai californiani) ai grandi Warlord di Zonder/Tsamis. Ed ascoltare la voce di Gianni Nepi dare l’avvio alla superlativa “The entity” provoca sinceri brividi (il bonus video riporta il making of del disco, e le parole di Paolo Ninci, testimone diretto della genesi del capolavoro, il quale si commosse mentre l’amico intonava questi salmi, rende perfettamente il clima magnetico che ammantava lo studio ove venne fissato su nastro). Si giustifica così, lasciando scivolare i brani uno dopo l’altro, come un sudario a ricoprir la fresca salma, come all’epoca Dark Quarerer venne compreso da pochi… Era l’ottantasette, la commistione fra i generi, il superare le barriere col balzo dell’immaginazione, dell’intelligenza, rappresentavano un salto nell’ignoto che l’uditorio dell’epoca non poteva ancora compiere e nemmen concepire, non possedendone le forze e le cognizioni (“Red hot gloves” lanciava il guanto della sfida, quanti lo raccolsero?). Ecco perché questo disco monumentale, opportunamente ri-registrato dall’attuale line-up (che oltre ai citati fondatori ed al Maestro Longhi comprende il validissimo chitarrista Francesco Sozzi che dal ’97 sostituisce Sandro Tersetti) trova oggidì sicuramente un numero maggiore di potenziali estimatori, e bene ha fatto Giuliano Mazzardi di My Graveyard Productions a patrocinarne la ristampa riattualizzata: l’epica, sontuosa title-track che sigilla – come la lastra di marmo il sarcofago – il disco rimanda alla teatralità espressiva dei Genesis era-Gabriel, irrorando con una cascata di tastiere un corpo sonico nerboruto, ove le chitarre sbattono come onde titaniche contro le possenti sponde erette dalla sezione ritmica, non riuscendo a vincerle, ma creando gorghi immensi, di dove il mastodonte Dark Quarterer emerge per sancire la sua definitiva grandezza. Un gruppo compatto che ha attraversato questi cinque lustri col rigore monacale di chi crede sopra tutto nel valore della sua Arte, e che ancor oggi può vantare la guida d’una Corporazione che con Dark Quarterer (ed “Irae Melanox” degli Adramelch) elegge le proprie regole. La tecnologia ci rende finalmente questo monile (intatto non ostante il Tempo trascorso) ancor più lucente: il bagliore ch’emana acceca, come fece già venticinque anni fa… (La cover viene riproposta come nell’originale, ed è tratta dal dipinto “L’indifferenza” di Maribruna Toni).

Per informazioni: www.atomicstuff.com/www.mygraveyardproductions.com
Web: http://www.darkquarterer.com