Anno di grandissimi ritorni, questo 2012: oltre al rientro sulle scene dei Dead Can Dance, in tutt’altro ambito sono tornati anche i Godspeed You! Black Emperor, a mio personalissimo parere una delle realtà più interessanti partorite dagli anni ’90 e, senza ombra di dubbio, autori di alcuni dei lavori più belli a cavallo del passaggio dal vecchio al presente secolo. Non posso negare che il loro ritorno era, più o meno, nell’aria e che in tanti aspettavano l’uscita di un nuovo lavoro che (se non erro cosa già accaduta in precedenza per altri album) contiene al suo interno alcune improvvisazioni da loro eseguite in ambito live già parecchio tempo fa, ricostruite ed arrangiate in forma di due lunghi brani più due intermezzi più brevi. Le caratteristiche del suono del gruppo canadese non sono, a grandi linee, cambiate: da sempre inseriti nell’ampio calderone post rock, hanno costituito una realtà abbastanza a sé stante, grazie anche all’ampiezza dell’ensemble; storicamente, erano costituiti da nove elementi (tipicamente tre chitarre, due bassi, due batterie con varie altre percussioni, un violino e un violoncello), il che permetteva loro di avere un impatto sonoro impressionante per potenza e pienezza, e la complessità della loro proposta musicale li ha fatti più volte paragonare alle sonorità progressive, pur rimanendo in un ambito decisamente più “noisy” e praticamente privo di melodie in senso stretto. Come accennavo, superficialmente questa descrizione può ancora essere considerata valida per il nuovo lavoro, anche se, ad un ascolto un po’ più approfondito, si può notare che il suono è divenuto più secco, asfittico e nevrotico e la mia sensazione personale è che ciò sia dovuto alla mancanza del violoncello, assente nel nuovo ensemble: non avrei mai potuto immaginare che l’assenza di un unico strumento, peraltro apparentemente marginale nell’impasto sonoro, potesse provocare un cambiamento così evidente nel risultato finale; è come se il violoncello fungesse da collante per il complesso degli altri strumenti, aumentando la portata complessiva del suono e aggiungendovi una forte vena romantica. Nell’introduttiva suite “Mladic” quest’evoluzione viene messa in netta evidenza, accanto ad un abbozzo di melodia (che a tratti sembra far riferimento a sonorità orientali). Il primo intermezzo si dissocia abbastanza dal tipico suono del gruppo, essendo costituito fondamentalmente da una stratificazione di violini parzialmente dissonanti coadiuvati da altri strumenti a corda e drone. Segue la seconda suite, “We drift like worried fire”, caratterizzata da un’ancora maggiore secchezza del suono e da un incedere tra il marziale e il minimalismo, con pattern sonori continuamente ripetuti e chitarre distorte a fare da base all’evoluzione sonora. Chiude l’album “Strung Like Lights At Thee Printemps Erable”, secondo pezzo breve (se possiamo definire breve un brano di otto minuti e mezzo…) dell’album: anche in questo caso, ci si allontana abbastanza dal tipico suono del gruppo, trattandosi di un lungo drone a base di chitarre distorte e in feedback. Nel complesso si tratta di un disco che mi è piaciuto, anche se non posso negare che la maggiore intensità sinfonica dei lavori precedenti (Slow Riot For New Zero Kanada e Lift Your Skinny Fists Like Antennas To Heaven sono secondo me i loro capolavori) li rende, per il momento, insuperati. L’ascolto è comunque consigliatissimo.