Parlo dell’ultimo lavoro di Giuseppe Tornatore perché si è rivelato una sorpresa molto piacevole, sia per l’originalità della storia che per lo stile di ‘scrittura’ raffinato, praticamente impeccabile; tutto questo da un regista con il quale non ho mai viaggiato in particolare sintonia e che, in effetti, non ho seguito con l’attenzione che i media gli hanno di solito concesso. Il risultato positivo è stato ottenuto, ovviamente, con l’aiuto di un formidabile cast – in primis la spettacolare interpretazione di Geoffrey Rush – e di un’inappuntabile fotografia grazie alla quale veniamo ‘catturati’ da una serie di bellissime, artistiche immagini: se si precisa infine che la musica è del nostro Ennio Morricone, il quadro può dirsi completo.

Virgil Oldman, il protagonista della vicenda, è un anziano battitore d’aste, esperto di opere d’arte, cha ha trascorso l’intera vita solo e ritirato, tanto privo di affetti veri quanto pieno di nevrosi, ossessioni e segrete ansie per le quali è ormai noto nella cerchia dei suoi conoscenti. Amante della bellezza in modo quasi maniacale, egli brama di appropriarsene con il classico atteggiamento del collezionista per il quale il massimo delle emozioni è legato al godimento dell’oggetto, non a persone o alla loro anima. Quanto sia fragile l’impalcatura che Virgil si è costruito risulterà chiaro allorchè egli verrà incaricato da una enigmatica giovane donna di effettuare una stima della sua collezione di oggetti preziosi: costei sembra celare in sè un mistero che inesorabilmente lo incuriosisce e lo attrae, al punto di – finalmente! – mettere in discussione tutte le sue scelte e la sua stessa esistenza rischiando addirittura di distruggerla. La brillante sceneggiatura ha l’intelligenza di seguire gradualmente gli eventi senza far trapelare – se non attraverso pochi, misurati elementi che hanno lo scopo di far ‘drizzare le antenne’ – la realtà delle cose che, dunque, coglie lo spettatore abbastanza impreparato: proprio come il rigido, legnoso Virgil, nonostante il suo temperamento chiuso e spigoloso, si dimostra del tutto indifeso di fronte all’aggressione che la vita gli riserva sotto forma di un’avvenente e, in apparenza, delicata fanciulla. In effetti, è sull’apparenza che tutta la prima parte della trama è basata, un’apparenza che non coincide affatto con la verità ma procede per una sua autonoma strada; la verità viene poi lentamente fatta emergere pezzo per pezzo, con pazienza, mediante un procedimento analogo a quello con cui il giovane Robert, interpellato dallo stesso protagonista, ricostruisce con i frammenti rinvenuti nella misteriosa villa un antico automa risalente a Jacques de Vaucanson: i progressi compiuti nel minuto lavoro di ricreazione coincidono con il graduale disvelamento della realtà sotto la finzione e con l’inevitabile messa a nudo dell’anima e dei sentimenti. La dura conclusione che, in modo forse un po’ troppo analitico, interrompe il corso degli eventi, risulta tanto più amara da accettare quanto il ‘procedere’ dell’apparenza si rivelava bello e piacevole.

Non è necessario aggiungere altro per far comprendere che quella del gelido battitore d’asta è una vicenda assai intrigante ed è condotta dal regista con disinvoltura e rigore stilistico; c’è da precisare inoltre che i personaggi sono delineati con una tale ricchezza di sfumature da rendere assolutamente affascinante la relazione che si instaura fra loro: merito degli attori che si muovono nei loro ruoli con sicurezza e convinzione. Tutti quanti, nel film, sanno farsi onore ma soprattutto Geoffrey Rush è grandioso nell’offrire un Virgil Oldman raffinato ed elegante ma anche timoroso ed inquieto, apprensivo nella sua professione e, soprattutto, incapace di avvicinare le donne dalle quali è a modo suo attratto: amante com’è dell’arte e degli oggetti preziosi, cela nel cuore della sua casa un locale le cui pareti sono completamente coperte di ritratti femminili, dipinti in diverse epoche fra il XV  ed il XX secolo. Gli intenditori riconosceranno fra questi anche opere famose di Raffaello, Tiziano, Dürer, Dante Gabriele Rossetti, Renoir, Modigliani e via dicendo: un mondo di donne immaginate da artisti e filtrate dalla loro specifica sensibilità, quindi vere fino ad un certo punto, figure comunque non minacciose in quanto prigioniere della loro tela. Un uomo con queste caratteristiche, che ha trascorso l’esistenza intera a ‘spiare’ nei quadri la natura femminile, diverrà facilmente preda del più irrazionale dei sentimenti e l’esperienza, in questo caso, sarà davvero maestra di vita.

Vale ancora la pena di menzionare la bellissima fotografia che stende dinanzi ai nostri occhi un suggestivo paesaggio ‘mitteleuropeo’: le riprese sono state effettuate in vari siti come Bolzano, Trieste, Roma, Vienna e Praga ed altri, rimontati poi a creare una città ipoteticamente ricchissima di arte e bellezza ma triste e decadente, proprio come i personaggi del film.