Dopo un’assenza durata cinque anni, ricompaiono i Bad Seeds, il gruppo nato nel 1983, su inizitiva del cantante Nick Cave e del polistrumentista Mick Harvey, dopo lo scioglimento dei Birthday Party, in cui i due avevano militato. Dopo varie defezioni e cambiamenti di formazione oggi la band manca dello stesso Harvey, uno dei membri storici ed autore di molti dei suoi brani più famosi ma, a distanza di parecchio tempo, ritrova Barry Adamson, al basso in due tracce. Questo nuovo lavoro rimane fedele allo stile che conosciamo, e Nick Cave sembra essersi lasciato alle spalle l’esperienza dei Grinderman che, comunque, aveva riservato ai fan qualche soddisfazione, per recuperare la dimensione che, a detta di molti, gli è più congeniale: quella del ‘poeta maledetto’ un po’ tetro e malato, ma sempre molto intrigante. Push the Sky Away è stato registrato a La Fabrique nel sud della Francia e, come riferito dallo stesso Cave, la sua genesi era durata circa un anno. L’ispirazione sembra gli sia giunta navigando a caso in Internet, in particolare Google e Wikipedia e infatti i brani sarebbero emblematici dell’influenza di Internet su vari aspetti della vita. Rispetto alle ultime, discutibili prove dei Bad Seeds la differenza si nota e se, forse, non può essere definito il più significativo dei lavori del gruppo, è sicuramente un disco di alto livello. L’opener, uscita anche come singolo, “We no who u r”, quasi sconcerta per la morbidezza del suono: concepita come una ballata meditativa, si avvale di synth e flauto per creare un effetto onirico, nonostante le venature malinconiche. Subito dopo, in “Wide Lovely Eyes”, Cave dilaga con il suo carisma, al quale basta uno scarno arrangiamento per catturare ed irretire l’ascoltatore. “Water’s Edge” è uno dei gioielli dell’album: i suoni morbidi, le atmosfere oniriche lasciano il posto ad una melodia sinistra, quasi un po’ lugubre, come è tradizione per il nostro, tutta giocata sul riff al violino di Ellis. Anche in “Jubilee Street”, in cui si parla di una prostituta uccisa, trionfa il fascino perverso di Cave: il ritmo cupo ma quasi sornione dell’inizio cresce ed incalza, mentre l’atmosfera diviene plumbea dominata dall’inconfondibile timbro di voce. “Mermaids” è spirituale e ‘noir’, “We Real Cool”, sorretta dal rimbombo del basso, è tenebrosa e teatrale; chiude la bellissima title track, anch’essa suggestiva ed onirica grazie all’incedere lento ed un po’ fatato ed alla presenza delle voci femminili – peraltro già apprezzate in “Finishing Jubilee Street” – che si alternano al canto del nostro. Occorre forse più di un ascolto per entrare nella magia di Push the Sky Away, ma poi è inevitabile esserne catturati.
Un grande album, che si lascia ascoltare all’infinito 🙂