Incuranti delle nuove tendenze che stanno targhettando il doom da semplice sottoetichetta del metal ad una ben più consistente rappresentanza nella Camera dei Lords dell’HM, gli Abysmal Grief, forti di una carriera che sta compiendo il quarto lustro e non ostante numerosi cambi di line-up ( ma nel loro caso conta davvero la convinzione e la dedizione al progetto) non si lasciano tentare da deviazioni acide, accompagnandoci nella lenta processione che ci porterà a varcare i rugginosi cancelli dell’Ade col loro sound tenebroso,denso come la pece e mortalmente affascinante. Sì, questo rosario di brani rapisce, conquista; è horror prog innalzato all’ennesima potenza espressiva, è una tetrissima sequela di note stordenti, col cupo risuonare della chitarra a scuotere gli animi attoniti dinanzi all’ineludibile compimento del Fato, mentre il violino rende onore alla musica più profonda e sepolcrale che mai sia stata composta. Esagero forse, ma tutto in Feretri olezza di morte e di decomposizione, come una bara marcita alla quale è stato da poco rimosso il coperchio, lasciando intravedere i miseri resti consumati dal Tempo. La presenza di articolati episodi come “Sinister gleams” testimonia la profonda competenza di questi negromanti nel maneggiare con cura estrema una materia che può essere pericolosa: una song beffarda, cosa ci attende dietro la porta che stiamo per aprire? Un sentimento di insania accentuato ancora una volta dalle onnipresenti keys, un piacere sottile ascoltarle, prima che la sei corde cali i suoi precisi fendenti ai quali non v’è scampo. Scevro d’orpelli gothici e da afflati romantici (che pur tanto mi piacciono, ma non ne sento in questa circostanza la mancanza), Feretri è espressione dell’heavy-dark più oltranzista e conservatore, ma non per questo risulta obsoleto; il solenne riffing che apre “The gaze of the owl” omaggia sentitamente il maestro Iommi, ma il cantato lamentoso marchia a fuoco col simbolo Abysmal Grief una traccia letteralmente disperata, annichilente, mentre un a-solo efficacissimo nella sua crudezza vi spoglierà letteralmente d’ogni speranza ed un coro ultraterreno vi accompagnerà nel non-mondo dei dannati, dal quale non si può far ritorno. Le zolle cadono con sordi tonfi sulle assi di legno brunito, l’officiante recita le preci, i singulti dei convenuti, stretti attorno alla vedova, ammutoliti dal dolore, risuonano tra le mura crepate del Camposanto. “Her scythe”, lunga piece de resistance che chiosa Feretri, sigilla come una pietra tombale un disco che m’è piaciuto oltre misura, e che conferma il valore di questa realtà che merita ben più della semplice militanza nell’underground. PS: edizione in vinile curata da Horror Records.