L’intro “Ducere me in lucem” non anticipa particolari sconvolgimenti stilistici, i Sirena puntano sicuri su una formula ormai collaudata: un metal dall’impatto notevole che s’adorna sì d’orpelli, ma non ostenta opulenza ad ogni costo. Così come i leggiadri vocalizzi di Ailyn, che stemperano una tensione che altrimenti s’impossesserebbe senza requie di brani dalla trama ispessa, i quali abbondano in una track-list di qualità. E se a tratti il sentiero battuto si rivela ostico nella percorrenza perché già abbondantemente sfruttato da altri, ecco che l’impasse viene superata facendo ricorso al mestiere (“My destiny coming to pass”). L’adesione al partito più propriamente goth-metal sviluppa episodi piacevoli come “Ditt endelikt”, ove l’interazione fra chitarre e sezione ritmica (l’ingresso di Ian Erik Solvedt è stato metabolizzato da un organismo assai aduso ai mutamenti di line-up imposti dal mainman Morten Veland) si rivela infine la carta opportuna da calare sul tavolo per chiudere la partita a proprio favore. E poco importa se l’uso di certi effetti potrebbe venir evitato (certi sussurri provocano crisi di rigetto, ormai…), “Cold caress” conferma che la media tecnica di Perils of the deep blue è comunque alta. Aleggia sinistra sull’opera una sensazione di tragedia incombente, le tenebre vengono squarciate da lampi fugaci, i cancelli dell’Ade cigolano sui cardini rugginosi, ma uno spiraglio forse s’intravede, sta anche a noi assecondare la Volontà ed insistere nella ricerca della Luce, seppur ancora pallida. I Sirena c’accompagnano col loro metal sinfonico, ma non seguiamoli passivamente bensì facciam tesoro degli indizi ch’essi distribuiscono come pezzi di mollica tra le svolte di queste undici tracce. Come nella crepuscolare maestosità di “Stille kom Doeden”, canzone dalle macabre valenze gothic doom: qui le dolenti chitarre erigono possenti muri perimetrali a difesa della delicata voce muliebre, mentre le tastiere vegliano attente sul Fato misericordioso evocato da cori sacrali, in una celebrazione pagana della Morte in battaglia, colla benedizione degli Dei a cingere il capo sanguinante di corone d’aulente alloro. L’uso della lingua madre inasprisce le porzioni di brano ove il pathos s’acuisce, smorzate appena dagli interventi di Ailyn, mentre in “Profound scars” è il “Sirenian Choir” (costituito da quattro cantori del Coro della Città di Marsiglia, con Oslo sede delle registrazioni di Perils of the deep blue) ad affiancare con convinzione la vocalist spagnola. Impegnati in un bizzarro confronto ravvicinato coi connazionali Tristania (dai quali provengono il citato lider maximo Veland ed il batterista Jonathan A. Perez), i Sirena dimostrano di saper amalgamare melodia e vigore (assai intrigante la citata “Ditt Endelikt”, quarta traccia ove fa bello sfoggio la voce pulita dell’ospite Joakim Naess), e di poter ambire alle posizioni d’onore del metal sinfonico e gothikeggiante, per la soddisfazione di chi a queste arie melodrammatiche non sa proprio rinunziare.
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