Ormai di Resurrection avrete letto tutto, essendo il nuovo disco dei Death SS sul mercato dal sei giugno scorso, giorno scelto non a caso per questa pubblicazione che vede il rientro discografico di una band che senza dubbio appartiene, per storia e lignaggio, al ristretto novero delle nobili del metal tricolore. Un’aura leggendaria in parte creata ad arte (ed il 666 che si ottiene sommando le singole cifre della data su indicata fa evidentemente parte di questa precisa strategia di comunicazione), in (buona) parte dalle vicissitudini che hanno visto coinvolta la band o suoi singoli membri (e che Sylvester esorcizza nella conclusiva “Bad luck”, giuocandosi di tutti coloro che su certe vicende hanno voluto speculare). Lunga la genesi di Resurrection, essendo il primo brano, “Revived” (che è posto in apertura di track-list) stato composto addirittura quattro anni fa; apparve come parte della colonna sonora di un episodio de “L’Ispettore Coliandro” ove lo stesso Sylvester intepreta se stesso (che, non a caso, risorge dopo essere morto). E’ nota l’attenzione che i Manetti Bros. riservano al panorama musicale underground italiano: brani del nutrito repertorio dei D-SS già vennero utilizzati per altre puntate della citata serie, ed in quella stessa ove viene suonata “Revived” appaiono on stage gli In Tormentata Quiete. Anche il singolo “Ogre’s lullaby”, uno degli episodi più incisivi dell’albo, è stata composto a favore di una pellicola firmata dai Manetti (“Paura 3D”), mentre titoli come l’incisiva “The darkest night” (l’eppì omonimo del dicembre 2012 annunziò la ricomparsa del complesso), “Eaters” (per l’omonimo splatter-zombie-movie del tedesco Uwe Boll), “Santa Muerte” (per “Squadra Investigativa Speciale”), “The devil’s graal” ed infine “Precognition” sono state concepite per far da supporto sonoro a lungo/cortometraggi (gli ultimi due dello stesso Autore), costituendo infine questi episodi oltre la metà della track list di Resurrection. Gli altri cinque sono invece indissolubilmente legati all’altra sostanza assai cara a Sylvester, ovvero la trasposizione di tematiche crowleyane ed occulte che trovano la loro sublimazione nella lunga e strutturata “The song of adoration” la quale, nei suoi nove minuti e poco più sancisce ancora una volta il ruolo di innovatori che i Death SS possono reclamare legittimamente; lenta, la song s’avviluppa inesorabile facendo leva sulle pulsioni malate che emana, richiamando alla memoria i più fortunati episodi scritti dalla mano di Johan Edlund per la sua creatura Tiamat: l’innesto di elementi esotici in una struttura emanante una malìa che infine si rivelerà mortifera, incanta l’uditore trascinandolo in un vortice di sensazioni pruriginose. Ed anche la copertina, che si riappropria del logo che nelle ultime uscite del combo venne accantonato (iniziando da “Panic” del 2000), contribuendo al giuoco di rimando tra passato e presente che costituisce uno dei tanti motivi (anche se fra i meno evidenti) di Resurrection, esplicita la passione (condivisa con altri, come Antonio Bartoccetti) del leader per le tavole che negli anni settanta resero celebri fumetti (destinati ad un pubblico adulto) quali “Zora”, “Sukia” e “Cimiteria”: Emanuele Taglietti presta la sua Belzeba, la quale apre la strada, fra le fiamme, ai cinque Death SS effigiati in pose ormai classiche. Il contributo dei musicisti ai quali Sylvester ha fatto ricorso si rivela di fondamentale peso: Al De Noble (Aldo Lonobile) alla chitarra e lo skin-beater Bozo Wolff provengono da una delle più interessanti entità del metal progressivo tricolore, i Secret Sphere, Freddy Delirio (autore del recente solo “Journey”) collabora alla produzione dell’albo ed ha stabilito con Sylvester una proficua partnership dai tempi dei W.O.G.U.E./Opus Dei (che gli hanno permesso, come i Sancta Sanctorum e come le confessioni rimesse al tomo “Il negromante del rock” di mantenere vivo – !!! – il nome), Glen Strange è un bassista solido ed efficace (già coi D-SS dal 2005-08). Se il main man è uno ed indiscutibile è il suo ruolo, vero è che negli anni ha sempre saputo circondarsi di elementi di assoluta eccellenza, e comunque sempre appropriati al suo progetto ed ad ogni momento specifico come, in passato, Alberto Simonini, Oleg Smirnoff, Emil Bandera e Jason Minelli. Competenza che condivide con altri grandi del metal mondiale (si pensi alle formazioni stellari assemblate dai vari Osbourne, Dio, Coverdale, rivelatisi pure veri e propri scopritori di talenti in più d’una occasione). Il ricorrere a formule mandate a memoria ed a soluzioni accattivanti fa parte del mestiere di ogni intrattenitore, ed in questo campo Sylvester nulla ha da imparare da nessuno (semmai potrebbe insegnare a molti…). Resurrection non è un semplice disco di rientro, anche se il passato ci fa da monito, nulla essendo sicuro e definitivo trattandosi dei Death SS. Si colloca comunque di diritto fra i migliori mai pubblicati dall’insieme, e avvalora ulteriormente una carriera di successo. Soddisferà chi il gruppo lo segue da vecchia data, e potrà far suoi nuovi proseliti. Un riuscito bilanciamento che trae dall’esperienza maturata nuova linfa per proseguire lungo un cammino che, per scelta, si è sempre rivelato assai impervio. Ma Sylvester sa scherzare col Destino, anche se lo fa con misura: “Bad luck” ne è un chiaro esempio, e suona decisamente come un “a rivederci” (a presto?).