Tyves Oben ha detto stop. Dopo dieci anni di attività come P4T è venuto il momento di abbandonare la vecchia sigla, tirare una riga sul pavimento e ricominciare daccapo come Scarless Arms. E Whales don’t cry for suicide u.p. (dove u.p. sta per unexpected play) rappresenta una buona formula di commiato. Diciotto pezzi, tredici dei quali performati da altri, e la pattuglia italiana rappresentata da The Mescaline Babies e The Spiritual Bat fa la sua bella figura. Bene così. Il buon “The silent flame” viene letteralmente saccheggiato, considerato che infine le sole “Tears of Avalon” (nell’eccellente interpretazione di Sean Bowley che riaccende la fiammella che arse nei primi capo-lavori targati Dead Can Dance) e “The other side”, oltre alla cinque tutto sommato trascurabili tracce interpretate personalmente dai P4T, non discendono direttamente dal quella pregevole opera. “September breath” rigenerata dai The Mescaline B. è canzone cupa e densa, sangue raggrumato che chiazza il candido peplo di una vestale, ed il motivo, già graziosissimo nella sua primitiva forma, stimola pure l’opera di Verney 1826. Solitamente queste iniziative mi lasciano tiepido, ma ammetto che Whales don’t cry for suicide u.p. la sua ragione d’esistere la possiede, al confronto con le tante raccolte che infestano il mercato come la gramigna il lembo di giardino dinanzi casa mia. Convincente “Tears of Avalon” dei The Spiritual Bat, i migliori del lotto, vincitori della concorrenza per distacco abissale (così deve suonare il death-rock!), “Illusion” assieme a “September…” è il più sfruttato, ben tre le sue versioni, buone quelle di Mark Douglas dei Vendemmian (firma un archway towers mix che si fa preferire alla discreta TxB mix dei Tragic Black) e la german version del Daniel Colletti’s Electric Bat Cave, coppie attempate che indugiano nel ballo mentre i Roxy Music stanno per lasciare il palco (la somiglianza coi ritmi lascivi che hanno caratterizzato tanti capolavori dell’insieme di Ferry/Manzanera/Mackay è sorprendente!), mentre “Princess Valium” (demoncasted by Demoncast) rappresenta uno dei picchi della compilazione, svolgimento beffardo di una track ermetica che si prende giuoco delle nostre ataviche paure. Dei cinque inediti “My private beginning” è esercizio strumentale cureiano (“The silent flame” era aperto da una “My private end”), “Field #4” è un intermezzo ambient tutto sommato trascurabile, “Little lovesong” è sorta di ninna nanna dark per fanciulli disturbatri, “Hidden scream” è scheggia jazz-noir del 2003 dal finale thriller mentre la conclusiva “Where the chosen get chosen” è ambient obscura da esplorazione degli abissi marini, o requiem per l’equipaggio di un U-Boot colpito dalle bombe di profondità sganciate da un cacciatorpediniere nemico. “Be a Queen” mixed da Manzana Oscura poggia su d’un arpeggio enigmatico che ricorda certe esplorazioni sonore desertiche praticate anni or sono da Robert Fripp e da Bill Nelson alla corte di David Sylvian. Whales don’t cry for suicide u.p. è un ottimo pretesto per rileggere gli scritti di Tyves Oben prima di dedicare attenzione alle nuove che giungeranno come Scarless Arms; riconosciamo all’Autore il valore di questa iniziativa, e non pretendiamo nulla di più dai suoi – pregevoli infine – contenuti.