Synthetic Shadows, sub-label di Rave Up Records, è un’etichetta italiana specializzata in ristampe della prima produzione post-punk/minimal-synth; la premessa serve a spiegare la lodevole scelta di rimettere in circolazione il materiale di quella che fu, negli anni ’80, una delle band più promettenti del panorama new wave nostrano. Gli Aus Decline di Pavia, infatti, nacquero proprio allora e si distinsero immediatamente per la loro creatività compositiva e per una personalità spiccata: due qualità che, insieme alla notorietà acquistata da qualcuno dei loro pezzi – la deliziosa “Five Years Life”, per esempio – procurarono loro un piccolo, fedele seguito. La loro storia è poi andata come quella di tanti altri: qualche demo, presenza in una compilation di new wave italiana, un CD ‘riassuntivo’ nel 2003 (Retrospettiva) finchè oggi, nel revival postpunk che stiamo vivendo, arriva Fluxion, che raccoglie le tracce migliori della Retrospettiva più qualcosa del materiale inedito del passato, in sostanza: tredici brani imperdibili! La prima, “Fluxion”, era già nel disco del 2003 ed è una delle più lineari: ritmo accattivante, bel basso in stile new wave e quel suono della chitarra – Luca Collivasone – che caratterizza un po’ tutta la loro musica, cioè sottile, quasi ‘ tagliente. Più sostenuta e cupa, batteria (Rimini) e basso (De Angelis) ‘risoluti’, “Fear Of Sin”, dopo la cui chiusa ‘sfumata’ sorprende  lo straordinario attacco della già citata “Five Years Life”, il loro pezzo più conosciuto e ancora modernissimo da ascoltare. “Goin’ On Jot” è decisamente meno melodica, più fredda  e qui la chitarra si fa davvero ‘affilata’, mentre “Earth Isn’t Room Enough”, stupisce con l’abbinamento di un motivo bizzarro come da orchestrina popolare al canto teso e cupo, in una combinazione piacevole ed estrosa. Sonorità tipicamente new wave in “Body Hit” e “To Lead The Van”, quest’ultima che ricorda un po’ i Bauhaus, più che altro per la voce di Casasco che somigliava parecchio a quella di Murphy. Ritmo più incalzante e suoni più grezzi in “News on New”, che mostra una parentela comunque non dimenticata con il punk come del resto anche le successive “City House” e “Exit”, quest’ultima arricchita qua e là da rumorismi ‘protoindustriali’. Segnalo infine la conclusiva “Auburn” che –  non soltanto perchè è l’unica con il testo in italiano – mi ha ricordato molto i Litfiba di “Transea”. Così, piano piano, tutti questi gioiellini del passato vengono riscoperti; ci auguriamo che gli Aus Decline, come I Pâle, i Victrola e gli altri gruppi italiani che sono stati ristampati, possano avere, dopo trent’anni, il riconoscimento del loro valore che mancò all’epoca e l’emozione di una ritrovata giovinezza.