Non siamo soliti, su Ver Sacrum, recensire le serie televisive: c’è una quantità di appositi siti – o anche blog, forum e via dicendo – che si occupano di televisione, a volte in modo discutibile, e magari hanno più titolo di noi a farlo, dato che per lo più ne vediamo poca. Ma True Detective è il fenomeno del momento, l’abbiamo seguito con passione – la serie non è ancora stata trasmessa in Italia ma è stata vista già da moltissima gente mediante lo streaming e tutti gli altri strumenti che la rete mette  a disposizione – e ne siamo rimasti affascinati tanto da aver concepito l’idea di parlarne nella sezione ‘arti’. Perché, senza far troppi preamboli, qui di arte si tratta, che sia settima arte o qualcos’altro, visto che i settori culturali toccati da Pizzolatto, il creatore dello script, sono numerosi ed includono la letteratura e perfino la filosofia; sorprendente che si possa dir questo di un lavoro per la televisione. L’HBO, che ha patrocinato altre serie di grandissimo successo come Game of Thrones o True Blood, ha vinto definitivamente la scommessa della qualità, investendo su un prodotto in cui tutto è di altissimo livello: la sceneggiatura, il cast – il premio Oscar Matthew McCounaghey ed il pur bravo Woody Harrelson, anch’egli affermato nel cinema, sono i protagonisti di tutte le puntate – e la regia affidata a Cary Fukunaga, a noi già noto principalmente per Jane Eyre, che se n’è occupato integralmente con risultati straordinari. La serie, come si diceva, è andata in onda in America all’inizio di quest’anno ma il passaparola ha viaggiato velocissimo, superando in un botto le distanze spaziali grazie ai mezzi offerti dalle moderne tecnologie, e quindi le vicende dei due poliziotti Martin Hart e Rust Cohle sono state seguite da un pubblico molto più vasto del previsto che ha dato origine, un po’ dovunque, ad un intenso dibattito. Anche da noi True Detective ha trovato grande apprezzamento ed è divenuto un piccolo ‘culto’.

La storia è ‘noir’, anzi nerissima. Il regista ha abilmente sdoppiato i piani di narrazione che procedono parallelamente per la maggior parte del tempo: il racconto di un fatto di sangue accaduto nel 1995, con la scoperta del brutale omicidio di una donna al quale i due, all’epoca in regolare servizio come investigatori della polizia, sono chiamati a lavorare e, d’altra parte, la ricostruzione degli eventi effettuata diciassette anni dopo, allorché gli stessi due che, per una serie di circostanze, hanno abbandonato la divisa, sono chiamati a rispondere ad una lista di quesiti posti loro da altri poliziotti con scopi differenti. I due piani tendono poi a riunirsi e il culmine è, ovviamente, nell’ultima convulsa puntata: i tasselli sparsi trovano il loro posto e la vicenda cresciuta come un’ossessione nel corso degli anni giunge infine alla sua risoluzione; non si possono risolvere però due esistenze sconvolte da situazioni personali gravi e dolorose, segnate da esperienze laceranti che hanno irrimediabilmente influenzato il vissuto successivo. Gli otto episodi si chiudono così, con un caso ‘giallo’ chiarito e due persone ‘sospese’ fra i demoni del passato e la speranza dell’oggi, ammesso che l’essere vivi rappresenti di per sé una speranza. Non potendo approfondire gli aspetti più specificamente legati alla trama, si può tentare di spiegare che cosa ha reso True Detective così speciale e diversa da qualunque altra serie televisiva vista fino ad oggi, tanto da guadagnarle molte migliaia di fan nell’arco di poche settimane.

L’opera di Fukunaga è stata, per molti aspetti giustamente, paragonata a Twin Peaks ma, mentre quest’ultima è ambientata in un piccolo centro montano situato nello stato di Washington, qui ci troviamo nella desolata pianura costiera della Louisiana. Grazie alla magistrale fotografia ed alla altrettanto magistrale regia, i nostri due eroi si aggirano in scenari urbani della provincia americana dai colori spenti o vagano in paesaggi afosi e sbiaditi, caratterizzati da una vegetazione malsana, in sostanza, perfetti per ospitare degli orrori: il vero ‘gotico americano’ abita qui. Rust Cohle, dei due protagonisti il più tormentato perchè nasconde i segreti più dolorosi, è un personaggio complesso, chiuso, ferito. Colto in modo sorprendente per il ruolo che è costretto a svolgere, ha scelto la solitudine e la alimenta con teorie che definire nichiliste è dir poco.

La filosofia di Rust Cohle è infatti pervasa di un pessimismo devastante che deriva in particolare dall’ideologia di  Thomas Ligotti, scrittore americano horror divenuto ormai di culto, figura tormentata e sfuggente. I suoi racconti sono estremamente originali e caratterizzati da una prosa definita ‘pittorica’ che si pone nel solco di grandi autori come Edgar Allan Poe e H.P.Lovecraft. Nick Pizzolatto ha ammesso, in alcune interviste, di essere stato influenzato da Ligotti e, in particolare, da una sua opera non narrativa, ovvero il lungo saggio sul pessimismo filosofico The Conspirancy Against Human Race, pubblicato nel 2010. Si tratta di un volume insolito in cui lo scrittore americano analizza questioni cruciali come la possibilità dell’autodistruzione del genere umano ed il significato che ha l’essere uomini;  in particolare egli cita alcuni filosofi per lui molto importanti, alcuni noti come Arthur Schopenhauer e Friedrich Nietzche e altri più oscuri come Michelstadter  e il norvegese Zapffe. La filosofia di Cohle, di cui troviamo un esempio efficace nella discussione con Marty, che avviene in macchina nel primo episodio,  (per chi fosse interessato, ecco: http://www.youtube.com/watch?v=A8x73UW8Hjk) rispecchia in pieno il lavoro e il ‘pessimismo nichilista’ di Ligotti. Cohle parla di vita, morte, religione, amore e della quarta dimensione. In particolare, alcune frasi di questa conversazione sembrano ‘prese di peso’ da The Conspirancy Against Human Race,  tanto che qualcuno ha parlato addirittura di ‘plagio’. Pizzolatto ha definito il pensiero di Cohle una sorta di ‘Anti-Natalist Nihilism’ ed ha fatto riferimento ancora ad altre influenze e fonti di ispirazione, come il filosofo E.M. Cioran.

Stupisce che una figura così complessa trovi comunque un canale di comunicazione con quello che è costretto ad accettare come partner, il mitico Marty. Apparentemente padre di famiglia esemplare, quest’ultimo farà presto a manifestare le proprie debolezze e sarà la relazione con il collega a far emergere il suo lato oscuro: i due finiscono con il condizionarsi reciprocamente, anche contro la loro stessa volontà, e l’amicizia fra loro è assolutamente determinante per l’evolversi della vicenda. Pizzolatto ha portato sul piccolo schermo due personaggi totalmente atipici per il genere, due caratteri complicati ed intensi, in tutto e per tutto di ‘caratura’ letteraria: i dialoghi fra loro sono spesso impegnativi, talvolta ardui ed oscuri e, fino all’ultimo, Marty non riuscirà ad arginare il pessimismo dirompente dell’amico ma ne resterà ferito a sua volta. Anche le figure femminili, soprattutto quelle più oppresse e sofferenti per un amore mal risposto – come Maggie, la moglie di Marty, per esempio – meriterebbero di essere analizzate in modo approfondito ma allora rischieremmo davvero di perderci.

La caccia all’orribile omicida porta i nostri due eroi ad esplorare un mondo oscuro e maligno: nessuna sorpresa per loro che, da sempre, sono avvezzi alle esperienze più dure e crudeli. Nel passato di Rust, in particolare, vi sono vicende dubbie e pericolose, che forse ne hanno minato la natura. Ma quest’ultimo è un viaggio che si addentra in territori profondamente malati, che esulano dalla dimensione della normalità. Per comprenderne l’essenza, è necessario indicare ancora altri rimandi letterari e simbolici ed influenze artistiche che l’autore dello script ha apertamente dichiarato di aver avuto e che si riconoscono un po’ ovunque con la massima chiarezza: inutile dire che questa densità costituisce il fascino principale di una scrittura che, ben lungi dal poter essere definita televisiva, è molto più vicina al cinema di livello migliore.

Infatti, oltre a Thomas Ligotti di cui si è già parlato, l’influenza riconoscibile in True Detective è quella dello scrittore americano Robert W.Chambers . L’importanza di quest’ultimo è fondamentale nella letteratura fantastica in quanto ha avuto direttamente peso su  H.P.Lovecraft e su altri scrittori famosi come Raymond Chandler fino al recente George R.R.Martin. In particolare il libro maledetto evocato più volte nella serie  – ovvero Il Re in Giallo – è il primo di una serie di “pseudo-biblium” nella narrativa “weird” e in seguito verrà affiancato dal famigerato Necronomicon inventato da H.P.Lovecraft. Il Re in giallo (1895) è un volume che racchiude una serie di racconti legati fra di loro. In esso si parla anche della misteriosa ‘Carcosa’, un nome, questo, che ritorna più volte in True Detective e che troveremo infine spiegato nella puntata finale. In realtà fu Ambrose Bierce, un altro ‘pilastro’ del fantastico, a parlare per primo della città di ‘Carcosa’ – precisamente nel suo An Inhabitant Of Carcosa (1891) – oltre che di Hali e Hastur e a codificare la geografia immaginaria e infernale poi ripresa da Chambers. In particolare in True Detective si menziona Il Re in giallo per la prima volta nel secondo episodio quando Rust trova il diario della persona uccisa, sulla quale stanno indagando. Nelle pagine di questo diario, alcuni passi rimandano direttamente al libro di Chambers, di cui vengono letteralmente riportate delle frasi. Si parla poi delle ‘stelle nere’, un simbolo che ricorre più volte nella serie. Anche nel terzo episodio, il Re in Giallo viene menzionato da parte del recluso Charlie, quando viene interrogato da Cohle a proposito del ricercato Reggie Ledoux. Nella stessa puntata,  facciamo conoscenza di un prete dal nome di Joel Theriot. Il suo nome richiama quello di Aleister Crowley che si definiva Master Therion ovvero la bestia 666. Pizzolatto ha dichiarato di aver utilizzato Il Re in giallo per le maligne e potenti atmosfere e perché è abitato da potenze ignote e tenebrose che, infatti, vengono evocate anche nella serie televisiva. C’è un filo rosso, per Pizzolatto, che lega Chambers e Lovecraft ai moderni Ligotti, John Langan e Laird Barron. Appunto Laird Barron è un altro autore molto stimato dall’autore di True Detective, importante per entrare nell’immaginario della serie. Si tratta di un maestro americano del ‘weird tale’ contemporaneo che contamina generi diversi come il western e l’’horror cosmico’. In ogni caso, nonostante tutti questi riferimenti letterari, in True Detective il soprannaturale viene sfruttato più che altro per aumentare la suggestione della trama ‘gialla’ arricchendola di sfumature e significati.

Se le notizie che abbiamo dato sono servite a destare la curiosità di qualcuno, siamo lieti di riferire le voci che danno per imminente la trasmissionedella serie in Italia sul nuovo canale Sky Atlantic della piattaforma satellitare. L’opera verrà certamente doppiata  nella nostra lingua e, in questo modo, se non se ne sciuperà di certo il fascino, a nostro avviso andrà però  perso uno degli aspetti che più hanno caratterizzato i dialoghi dei nostri protagonisti, cioè l’accento ‘strascicato’ del loro ‘slang’. Ascoltare i cupissimi monologhi di Rust promunciati in quel linguaggio così difficile ma così tipico è stato bizzarro, ma molto efficace. Per questa ragione riteniamo ottimale la visione in originale, magari con i sottotitoli in italiano per non doversi troppo scervellare. Auspichiamo naturalmente che la versione italiana rimanga per il resto totalmente fedele a quella americana e che vengano mantenuti anche gli splendidi titoli di testa, formati da immagini dei personaggi sovrapposte ad altre della Louisiana con effetti molto inquietanti: in sottofondo, lo strepitoso brano del duo country-folk The Handsome Family, “Far From Any Road”, turba ed emoziona allo stesso tempo. Non avremmo mai pensato di doverlo dire di un pezzo country folk…