E’ appena uscito il settimo lavoro dei  Combichrist, progetto ‘harsh EBM’ norvegese voluto da Andy La Plegua ed attivo fin dagli inizi degli anni 2000. We Love You contiene tredici tracce ed è stato pubblicato in CD, CD/DVD, doppio album e download digitale per la gioia degli amanti del genere. Considerato lo stile abituale dei Combichrist, quest’ultimo disco appare un po’ atipico, poiché in certi brani propone qualche ‘variazione’ sul tema che lo rende nel complesso più ‘vivo’ ed interessante, ferma restando la matrice ‘hardcore’ cui ovviamente non rinuncia. Apre “We Were Made to Love You” con un intro ‘darkissimo’ condotto da una voce ‘robotica’ su minacciose note di synth, prima dell’esplosivo ingresso della chitarra e, soprattutto, di La Plegua praticamente in modalità ‘growl’ con toni che fanno davvero accapponare la pelle. Seguono “Every Day Is War”  e “Can’t Control”, che persistono nello stile aggressivo che da sempre caratterizza la band: il ritmo martellante incalza il canto ancora scatenato in un rincorrersi senza fiato. “Satan’s Propaganda”, poi, senza rallentare di certo, inclina decisamente all’’industrial metal’ nelle sue versioni più ‘toste’ con l’uso pesantissimo della chitarra e ‘rumorismi’ fra i più violenti. Bisogna attendere “Denial” per avere un po’ di tregua: il ritmo è appena rallentato, il basso in primo piano e l’atmosfera scura e fumosa.  Anche “The Evil in Me” si mantiene sulla velocità ‘moderata’ e, a mio parere, è uno degli episodi migliori, con la voce di La Plegua al meglio ed un efficace arrangiamento di piano e chitarra: brano bello e suggestivo. La strumentale  “Fuck Unicorns” invece introduce cadenze da dance floor dal sapore ipnotico mentre con “Love is a Razorblade” irrompe nuovamente l’hardcore più violento. “From My Cold Dead Hands”, uscito anche come singolo, nonostante le sonorità potenti è fra le tracce più accattivanti per le tinte electro-industrial.  Il resto si aggira più o meno in area ‘hardcore’ e vale menzionare giusto in chiusura “Retreat Hell Part II,”: inizia con un lungo sproloquio in stile ballata in cui il termine ‘fuck’ ricorre non so quante volte, prosegue con inquietanti rumori elettronici e voci registrate: vale l’ascolto!