Lascia tesi e turbati l’ultimo lavoro del regista canadese Denis Villeneuve, Sicario: presentato di recente al festival di Cannes, arriva in questi giorni nelle nostre sale e chi, come chi scrive, era rimasta favorevolmente impressionata dalle precedenti pellicole del nostro – soprattutto Prisoners ! –  non ha potuto mancare l’appuntamento. Anche Sicario è un film di azione. Benché la maggior parte delle riprese sia stata realizzata ad Albuquerque nel Nuovo Messico, la vicenda è in realtà ambientata fra El Paso e Ciudad Juárez, nello stato messicano del Chihuahua, località tristemente nota per essere considerata da alcuni anni una delle città più pericolose al mondo perché scelta come sede dalle bande dedite al narcotraffico: criminali senza scrupoli, gente crudele e priva di qualunque principio tiene in scacco la popolazione limitando le sue prospettive di vita e condannandola ad un’esistenza fatta di paura ed oppressione.

In questo angosciante contesto, si situa la storia dell’agente dell’FBI Kate Macer, assegnata all’ufficio di Polizia di Phoenix in Arizona, selezionata dai superiori per collaborare con una misteriosa squadra organizzata direttamente dal governo allo scopo di perseguire il cartello dei narcotrafficanti messicani. La giovane donna, dall’apparenza minuta e delicata, si è costruita infatti una solida esperienza nel campo dei rapimenti e potrebbe quindi fornire il suo contributo all’attività svolta dal team. Quello che immediatamente non emerge è che le operazioni compiute dalla task forze, di cui fanno parte, fra gli altri, figure ambigue classificate come ‘consulenti’, esulano dalla normale prassi della polizia e non applicano i protocolli ai quali la protagonista è abituata anche nelle situazioni di pericolo. Ne consegue che, nel corso delle azioni cui deve partecipare, si creano divergenze circa i metodi da usare e la posizione di conflitto in cui la coraggiosa agente viene a trovarsi risulta per lei estremamente rischiosa: il tema del ‘limite’ che in Prisoners era visto da una certa angolatura, torna qui in un contesto diverso ma altrettanto  impegnativo, riferendosi ai principi etici che dovrebbero determinare la prassi di chi rappresenta la legge.

Impossibile andare più nei dettagli nello spiegare la trama di Sicario, ma già da quanto detto appare chiaro che il clima è quello dei più frenetici ‘action movies’: gli eventi si susseguono con grande velocità e talvolta diventa difficile seguire i vari intrecci della storia. La regia si attiene sempre al canone della rapidità ma arricchisce il fascino delle scene con una serie di scelte stilistiche che possiamo illustrare qui solo mediante gli effetti che provocano e che attestano il consumato mestiere di Villeneuve: cieli costantemente nuvolosi ed inquieti accompagnano il lavorìo dei personaggi, le squallide periferie urbane non sono mai sembrate così asfissianti, i morti così tormentati. Le operazioni ambientate a Ciudad Juárez paiono svolgersi in una zona di guerra in cui la gente comune subisce senza potersi difendere, senza più neanche tentare di reagire. I militari compiono atti orribili con il pretesto di mantenere l’ordine ed il loro atteggiamento, a volte, è talmente disumano che si stenta a notare la differenza fra loro ed il nemico che fronteggiano; nel mondo senza regole in cui essi si muovono appaiono confusi anche gli scopi che perseguono e la volontà di giustizia si sovrappone al desiderio di vendetta e all’interesse personale. Perfetta l’interpretazione del losco Alejandro, da parte di Benicio Del Toro, con il viso ‘scolpito’ dall’esperienza e le maniere brutali; impeccabile anche la prestazione di Emily Blunt, divisa fra la fragilità e la violenza cui in qualche modo deve far fronte:  a tutti i personaggi del film viene attribuito il giusto spessore, come del resto è abitudine di Villeneuve, e i conflitti e la sofferenza personale che condizionano i loro comportamenti sono ben approfonditi, tanto che la loro psicologia appare assai più plausibile di certi aspetti della vicenda che, occasionalmente, scivolano nell’improbabile. Questo non toglie, comunque, nulla al valore della pellicola che colloca il suo autore fra le figure più interessanti del cinema attuale.