Sovente utilizzato a sproposito sopra tutto riguardo insiemi musicali, il termine seminale aderisce perfettamente al caso dei Novembre, complesso colla produzione del quale confrontarsi costituisce per chiunque voglia cimentarvisi un elemento di formazione e di crescita. Passaggi obbligati: ascoltare ed apprendere, suggere l’insegnamento eppoi mettere a frutto l’elaborato, ed è questo il punto più arduo, ove molti cadono, impreparati all’impresa. La prima di “Wish I could dream it again…” vedeva la luce nel 1994, sono trascorsi da allora ventuno anni, la traccia evolutiva seguita dai più coraggiosi appartenenti all’ala più alternativa del metal estremo ha portato a risultati a volte sorprendenti, altre appena decorosi, e pure a qualche caso di resa totale, di fallimento. Carmelo e Giuseppe Orlando seppero fornire al genere una versione personale avvalendosi di sonorità proprie della nostra tradizione più profonda, quella che caratterizza ogni lembo d’Italia, così diversa eppur così affine almeno nello spirito, nell’attaccamento alla Terra ed alla Tradizione. Una visione profondamente ed intrinsecamente romantica d’una fascia sonora che tante soddisfazioni ha dato agli appassionati. Katatonia, Anathema, Tiamat (“Wildhoney” usciva quello stesso anno…) seguivano lo stesso solco, avvantaggiandosi però della localizzazione geografica, che naturalmente li poneva al centro di un movimento in rapida espansione, e che nel nostro Paese trovò e trova ancora validissimi discepoli (Klimt 1918 non a caso). Ma l’azione dei Novembre seppe farsi riconoscere ed apprezzare, vennero il contratto con Century Media, le collaborazioni con Dan Swano, uno che certo non si lascia intimorire dall’ignoto. Raccogliere le briciole sparse lungo un percorso di oltre cinque lustri è operazione non di poco conto, dovendo per forza tralasciarne qualcuna sul selciato, questa compilazione ha il pregio di adunare alcuni esponenti finissimi d’un sentimento d’interpretare il metal che trova nell’operato dei capitolini i propri punti cardinali. Vi sono rappresentati “Wish I could…” (con quella copertina che richiamava meriggi assolati e spiagge affacciate su mari generosi), “The dream of the old boats” dei Shores of Null ricupera l’esuberanza dell’esordio, il quale custodiva quei semi che presto sarebbero germogliati, “Novembrine waltz” con “Valentine” interpretata ed adattata con rispetto e sapienza dai Lenore S. Fingers, “Classica” con “Cold blue steel” (Vostok & Australasia, dream pop che accarezza gli Sneaker Pimps) e “Nostalgiaplatz” (Arctic Plateau), mentre “Materia” candida ben quattro estratti (cinque considerando che L’Alba di Morrigan fondono “Aquamarine” e “Geppetto”), con le esplorazioni sonore di Shape (“Memoria stoica/Vetro”), Electric Sarajevo (“Nothingrad”) ed il toccante effluvio d’incensi affidato a Lauren Vieira che si appropria dell’anima delicata di “Jules”.  Intarsi pregiati, voli arditi, una potenza evocativa sublime, rara se espressa con tanto gusto, marmi lucenti scolpiti da mani esperte, materia che si fa pulsante, la stupefazione che si prova dinanzi all’Opera sublime di un Maestro, una delle tante che custodiamo nelle sale dei nostri Musei, quell’Arte che abbraccia millenni di Storia e che i Novembre seppero fare propria, volgendola in musica. Le chitarre che si infrangono come onde sulla sabbia, la 4AD in lontananza, melodia ed energia, un turbinio di emozioni che si susseguono, e sopra tutto la misura e la deferenza che fanno da collante ad una operazione che coglie il senso più profondo di quello che è il lascito dei Novembre.