Coi Black Deep White in pausa (ed attendiamo il nuovo My Sixth Shadow), Dave Shadow da alle stampe un lavoro fin dal titolo assai personale, esprimendo con le undici tracce che lo compongono tutte le componenti della sua sfaccettata personalità artistica. Non un esercizio di stile, Me, myself and I (Dave ha composto, arrangiato e suonato tutti gli undici motivi, ha inoltre curato produzione ed artwork) si dimostra opera che non provoca rotture col suo recente passato ed offre al contempo spunti interessanti e più di qualche indizio circa la sua formazione di compositore ed esecutore. Lo start è affidato al bubblegum pop di “Now or never”, brano sbarazzino incastrato tra DSI e Latexxx Teens adatto ad aprire un disco che di qui in avanti rivelerà più d’una sorpresa. Come (salto fino alla posizione dieci della track-list) “Mephisto”, dal potenziale radiofonico immenso ed adatta a trascinare il pubblico coi suoi cori singlalong, o “Hellody” dall’impianto che può ricordare gli smash-hits dei Foo Fighters, mentre, riavvolgendo idealmente il nastro (ehi, avete notato che le cassette stanno tornando di moda?), “Turn me on” si esalta in un gothic-metal debitore di HIM e The 69 Eyes, beneficiando di un efficace arrangiamento che lima una struttura altrimenti scontata, col piglio alterna di “Revenge of a black heart” a sciogliersi in un ritornello di gran presa (pezzo molto americano, questo). Ogni episodio viene interpretato da Dave con grande attenzione; adattarsi alle situazioni che si susseguono a ritmo serrato con naturalezza e senza forzare è segno di una maturità acquisita, facendo ricorso al mestiere si possono giustificare pure gli eccessi di saccarosio di “Just don’t know”, anche perché “Queen of fools” è lì pronta ad alzare nuovamente l’asticella, precedendo una “Incomplete”, cover dei Backstreet Boys che si permette di citare i Duran Duran più inclini ad ammiccamenti glam. Meglio dell’originale, garantisco di persona! Ancora (scandinavian) glam rock in “All in all”, ma è un’altra cover, “Lovers on the sun” di David Guetta, a disvelare il lato più intimo di Dave, fine interprete d’una ballata che profuma di anni sessanta e di California. Un disco che scorre via con scioltezza, privo di picchi ma pure di episodi deboli, e mantenere una qualità omogenea (anche nei rifacimenti di altrui brani) non è da tutti (la prova dell’italiano incastrato tra l’inglese della cinematografica “I opened my eyes” viene superata agevolmente, scivolare sarebbe stato assai facile, in un contesto come questo). Sarebbe interessante ri-incontrare Dave ancora in questa veste, magari fra qualche mese, per confermare quanto di buono esposto in Me, myself and I e stupirci ancora…
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