Esattamente ciò che ti aspetti da un disco dei Crematory: ritmo forsennato, chitarroni, il vocione di Felix Stass, un po’ di elettronica, la batteria che rimbomba, anthem da stadio. E’ così da quanti anni ormai? Venticinque, tanti se ne contano dal loro esordio del ’91. Monument è titolo appropriato, anche perché i Crematory riescono, ogni volta, ad assemblare lavori credibili, e che qualche critico li usi come bersaglio, a loro non importa poi più di tanto, anche perché i numeri parlano chiaro. Lavori praticamente inattaccabili in quanto privi di punti deboli anche se, a conti fatti, un paio di brani dalla track-list di questo arrembante Monument potevano anche risparmiarceli, ché alla fine dell’ascolto si giunge esausti. Segnalazione d’obbligo la dipartita dello storico Matthias Hechler, titolare di chitarre e di clean vocals fino all’anno scorso, sostituito da Tosse Blasler (sei corde e voce pulita, in evidenza su “Die so soon”), già negli Scapegoat e negli Avalanche, e da Rolf Munkes, che s’appropria del ruolo pesante di lead-guitarist (nel suo c.v. anche una presenza nella band dell’ex voce dei Black Sabbath Tony Martin). Ma è quando la corazzata Tirpitz rallenta il ritmo che ti arrendi: “Ravens calling” ed “Everything” giuocano la carta del mestiere, che i Crematory possiedono in buone dosi, e che sfruttano per confezionare motivi accattivanti pronti a conquistare le radio. Monument garantisce ai teutonici un altro anno in Bundesliga, chi può permettersi tanto? Avete presente quegli spot? Crematory, sicurezza tedesca