
Der Himmel über Berlin a Trieste - Foto di Hadrianus
Giungo al locale appena in tempo per l’inizio dell’esibizione, che si concentrerà in un’ora e poco più, ma che confermerà appieno la fama che il gruppo ha saputo consolidare in anni di attività dal vivo. I Der Himmel über Berlin sono una grande band, dimensione che non si stima più in copie vendute (unità di misura che appartiene ad un passato relativamente recente della storia della discografia, anche se pare lontanissimo), bensì in migliaia di chilometri percorsi per giungere in località remote, salire sul palco, giuocare tutte le carte senza esitare, riporre gli strumenti nelle custodie e ripartire. Loro come i Giuda, altra realtà italiana che sa che il Tempo corre via veloce, e che non serve a nulla risparmiare forze e fiato, meglio andare avanti, a cercarselo il pubblico, il suo rispetto e, sopra tutto, la soddisfazione di ricevere qualcosa in cambio, calore, apprezzamento, stima. Search and destroy…
Il post-punk squadrato ed essenziale del quartetto s’incardina in una sezione ritmica che produce una mole di materia sonora impressionante, un cantante che sa come muoversi sulle assi e gestire il carisma del quale è dotato e che gli permette di tenere in pugno il pubblico senza sottrarre spazio ai compagni, ed un chitarrista che se ne sta lì, al suo lato, si muove sì ma non te ne accorgi subito, perché col suo strumento attribuisce ad ogni singolo brano un valore aggiunto che va compreso ed interiorizzato, non un tronfio orpello bensì un ornamento essenziale, come la campanula che s’avvinghia al rugginoso cancello d’un camposanto di campagna, fascio verde punteggiato dal candore dei fiori.
Eppoi ci sono le canzoni, l’essenza dei DHuB, preziosa come un distillato di laboratorio che trae da erbe rarissime il concentrato che pochi potranno apprezzare. “Black dress”, “Dead cities”, “My rubber Queen”, sono episodi letali dall’incedere netto, deciso, con la voce che non trema e con gli strumenti che edificano il muro sul quale i sogni s’infrangono… E “Dead souls” che viene interpretata con la personalità e la deferenza che si deve ad un classico appartenente alla materia dalla quale tutto è poi scaturito. Ho cinquant’anni, in oltre trenta ne ho visti di concerti, di band esordienti, altre affermate, molte poi scomparse, troppe stanche e con nulla più da dire, in palazzetti, stadi, stanzoni fatiscenti ed umidi… Stavolta me ne sono stato semi-immobile ad ascoltare, ad osservare, non riuscivo letteralmente a fare altro. Perché questi quattro possiedono la forza, il vigore di chi ci crede, di chi vuole andare avanti, non per disperazione, ma per convinzione che questa è la strada da percorrere. E loro, appunto, ne hanno fatta tanta, in Italia ed in Europa. Ed ore ed ore trascorse assieme hanno cementato uno spirito, una determinazione che sono l’unica risorsa per una band come loro per andare avanti, una volta ancora…
Rientro, sono stanco, ripenso al concerto, ma qualche deviazione al percorso me la concedo, per allungare un po’… I pensieri corrono, mi ricordo allora dei Monks che fanno a pezzi i Miracle Workers ed i Fleshtones, e Nicky Turner che li osserva prima di salire lui sul quel palco, consapevole che il nome che è stampato sul suo drum-kit servirà a poco, e che dovrà dare fondo a tutte le sue energie, lui e gli altri Lords of the New Church, per ristabilire una gerarchia che ormai è stata stracciata. Sì, una grande band non lo è per status, perché qualcuno l’ha definita tale magari per il passato che rappresenta. No, le grandi band sono quelle che bruciano tutto quello che possiedono sulle assi d’un palco, nel breve volgere d’un pugno di minuti… Search and destroy…

Der Himmel über Berlin a Trieste - Foto di Hadrianus
Der Himmel über Berlin
Teeno Vesper, voce
Davide Simeon, chitarra
Riccardo Zamolo, batteria
Stefano Bradaschia, basso
Tracklist
The chosen ones
Sweet dancing butterfly
Donau ruf
Something in the dark
Black dress
Dead cities
Varena
Dull day
Kafka Motel
Poison on your tongue
My rubber Queen
Dead souls
Eaten up
Poison on your tongue