shadowhouse

Sono in quattro (formazione equamente divisa fra maschietti e femminucce), provengono da Portland (OR), con Boise (ID) una di quelle città americane che vorrei prima o poi visitare, e suonano goth, ma quello che The Wake, The Shroud, The Prophetess ed altri fecero proprio, personalizzando i canoni estetici del genere codificato dai Maestri albionici. La via americana al gothic-rock che produsse lavori interessanti e che col tributo “First and last and forever” (indovinate chi era il gruppo omaggiato?), patrocinato dall’iper-attiva Cleopatra Records, compilò il suo manifesto. Un suono certo derivativo, ma forse proprio per la provenienza geografica (molti gli insiemi basati in California, ma L.A. diede i natali anche a tipacci come i 45 Grave, mica solo a Motley Crue e co.) quella corrente suscitò un certo interesse nei più curiosi. Ora la tradizione si reitera fra le note di Hand in hand che la transalpina Manic Depression ha stampato l’anno scorso, e che da qualche giorno gira insistentemente nel mio stereo. L’atmosfera è malinconica, pochi sono gli episodi veloci (“A darkness”, “Stay away”), la voce di Shane McCauley è ben impostata anche se monocorde (il nostro si occupa pure delle chitarre), gli svolazzi delle tastiere di Ashley Geiger ingentiliscono le canzoni con la loro presenza discreta, la sezione ritmica fa la sua parte, col basso di Samantha Gladu ad interagire con perfetta tempistica colla batteria di Josh Hathaway. Tutti e dieci i brani di Hand in hand sono composti dal gruppo ed il disco scorre via con grande naturalezza (anche se una certa uniformità rende difficoltosa l’immediata identificazione del singolo pezzo), ma gli americani in questo sono dei maestri, il cosiddetto FM rock fa parte del DNA di ogni artista che di colà provenga, anche se di area indie (ed i loro concittadini Dandy Warhols lo confermano). Bella la confezione, semplice ma curata anche nelle immagini, faranno compagnia ai gruppi citati poco sopra nelle mie scalette dedicate al goth-U.S.A., garantito.