Glowing ManEsce The Glowing Man, doppio CD degli Swans contenente otto tracce la maggior parte delle quali di lunghezza considerevole e prosegue in una direzione che Gira pare ormai voler sfruttare fino all’estremo, puntando con forza sugli effetti ipnotici, sulla ripetitività ossessiva in contesti in apparenza – ma di certo solo in apparenza! – non ‘pianificati’ ma basati su ispirazioni improvvise e non prevedibili. A quanto si è saputo, The Glowing Man è l’ultimo lavoro targato Swans con la formazione di ora – Puleo, Westberg, Harris, Hahn e Pravdica – e, in seguito, Gira si sceglierà altri collaboratori: impossibile, vista la personalità del nostro, presagire quale sarà l’orientamento che la sua energia creativa prenderà. Cosa dire di questa nuova opera appena uscita? Chi abbia amato i precedenti due album non avrà problemi: l’impostazione non cambia ed è chiaro che l’ascolto non è né lineare né tanto meno leggero, anche se sarebbe eccessivo ‘bollare’ come ‘ostico’ un disco che mostra un valore innegabile e dove, comunque, i momenti piacevoli non mancano. Tuttavia, visto che la maggioranza dei brani dura almeno venti minuti, mantenere costante l’attenzione non è sicuramente facile. Vediamo nel dettaglio: “Cloud Of Forgetting”, la prima traccia, ben rende l’idea del clima che qui si ‘respira’, poiché, dopo un suggestivo esordio tutto di atmosfera, procede lenta e come sospesa, raccontando una storia vibrante di tensione che Gira anima con il suo stile inconfondibile, facendola apparire una sorta di rito magico ed irripetibile. La visione va avanti per oltre dieci minuti, raggiungendo nell’ultima parte apici di intensità notevoli, prima che attacchi poi la sconcertante “Cloud Of Unknowing”. Questa inizia con la medesima inquietudine sospesa e la porta alle estreme conseguenze – si noti la ‘dolorosa’ chitarra! – in un incalzare pressante fino al canto ancora una volta sorprendente di Gira, sacerdote/stregone di una cerimonia di cui non si può comprendere fino in fondo, bensì soltanto intuire, la portata: bellissimi i passaggi con le campane ‘a festa’ a conferma della sensazione di una forte componente religiosa che, attraverso il nostro, prende misteriosamente forma. Poi, “The World Looks Red/The World Looks Black”, il cui testo – utilizzato anche dai Sonic Youth per il loro brano “The World Looks Red” – risale al 1982, rappresenta l’episodio per così dire melodico del disco, ma mantiene l’impostazione di una preghiera, sia pure con un percepibile cedimento della tensione e “People Like Us” , l’ultima traccia della prima parte nonché una delle più brevi, introduce un insolito clima da dark cabaret, denso di fumo e amarezza. Di tenore ben più opprimente l’angosciosa e quasi spettrale “Frankie M”, lunga una ventina di minuti, che apre il secondo CD: a mio avviso uno dei pezzi più belli e significativi dell’intero lavoro, dotato di una visionarietà oscura e allucinata, popolata di cori e giochi di voce totalmente inquietanti la cui potenza si intensifica gradualmente, culminando poi in una ridda tormentata di suoni; nel secondo segmento del brano il canto pare un grido e la chitarra aggredisce lo spazio ‘scandito’ da una ritmica decisa, finché la carismatica voce di Gira appone il suo ‘sigillo’ al tutto con la ripetizione di una sorta di cantilena di cui è impossibile descrivere l’evoluzione. A questo punto, quasi passa inosservata la seguente “When Will I Return?”, scritta per la moglie di Gira che in effetti la canta con molto pathos: neanche qui l’andamento è lineare, per carità, perché il ‘sommesso’ inizio folk si arricchisce poi di trame assai più complesse. La title track è forse il pezzo che si ‘regge’ con maggiore difficoltà: circa mezz’ora di musica che il nostro sembra aver ‘infarcito’ di tutte le sue visioni e le sue esperienze, con cambi continui di ritmica e stile, a volte in modo decisamente sorprendente, e con interventi vocali caratterizzati dal fascino abituale, ma che non riescono a restituire al ‘calderone’ quel minimo di unità che ne farebbe un ascolto più agevole da digerire. Così, di nuovo, non si resta sufficientemente concentrati per godersi la chiusa di “Finally Peace”, breve ‘congedo’ anch’esso melodico, dall’atmosfera più malinconica che drammatica che, se per caso ce ne fosse stato bisogno, sancisce in modo definitivo l’eclettismo imprevedibile e ‘genialoide’ di Michael Gira & Co. di cui The Glowing Man, al di là della sua ‘capacità’ di attrazione, non è, alla fine, che una semplice ‘fase’, in attesa di un futuro tutto da scoprire.