Che la visione di One more time with feeling avrebbe riservato emozioni e tanta tristezza era previsto e si era già detto parlando dell’ultimo, bellissimo album di Nick Cave & The Bad Seeds Skeleton Tree. Anche questo film è rimasto nelle sale italiane soltanto due giorni: al di là di quale possa essere stata la risposta del pubblico, la sua presentazione fuori concorso alla 73esima edizione del festival di Venezia ha riscosso interesse e commozione, visto anche il carisma del suo protagonista e il fascino della musica alla quale, come è logico, viene lasciato ampio spazio nella pellicola. In giro si sono lette informazioni a iosa sulla genesi di questo lavoro, del disco e anche sulla tragica morte del giovanissimo Arthur Cave, un evento che ha evidentemente precipitato la sua famiglia nella disperazione: a noi basta, io credo, solo qualche notizia. Come accennato nella recensione dell’album, sia i brani che il documentario erano almeno programmati allorché si è verificata la disgrazia; l’impegno è proseguito, a parte una comprensibile interruzione, per volontà dell’artista il cui stato d’animo a quel punto ha sicuramente influenzato molti aspetti della musica, contribuendo ad accentuarne i colori pessimisti e drammatici e, d’altro canto, ha trasformato quello che doveva essere il resoconto della registrazione dell’album con l’esecuzione dei brani musicali, in sostanza con l’attività dei Bad Seeds al centro, in una sorta di autoanalisi che ha incluso, oltre a Cave, anche i suoi familiari e i più intimi fra gli amici. Lo scopo dell’operazione è stato del resto spiegato dal protagonista in persona con il bisogno impellente di esternare i suoi sentimenti, di non tenere il dolore chiuso in sé in modo da poterlo ‘distanziare’ e, in questo modo, gestire. In una situazione che, probabilmente, avrebbe fiaccato la forza e la spinta vitale di chiunque, Nick Cave ha scelto di raccontarsi con una sincerità assolutamente inedita e con un piglio molto diverso da quello che aveva dato origine a Nick Cave – 20,000 days on earth che, in realtà, era servito più che altro ad alimentare la leggenda intorno al suo personaggio.
Girato quasi del tutto in bianco e nero, come a rappresentare un mondo dal quale i colori sono andati via, One more time with feeling è concepito come una via di mezzo fra il racconto privato e l’intervista e, per questa ragione, era forse necessario rivolgersi a qualcuno di cui potersi fidare completamente. Così è stato chiamato Andrew Dominik, regista dell’indimenticato L’assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford, di cui Nick Cave aveva curato la colonna sonora insieme a Warren Ellis; con lui esisteva evidentemente quel rapporto di amicizia che poteva facilitare il giusto clima di confidenza e sincerità. Le riprese sono iniziate a febbraio di quest’anno, non molto dopo la morte di Arthur, e ci mostrano un’immagine del musicista così ‘vera’ da fare impressione.
Cupo come sempre, per lo più pensieroso ma, a volte, insolitamente loquace, Nick Cave affronta molti argomenti, sia intimi che legati alla sua arte. Non nasconde il malessere profondo in cui vive dalla perdita del figlio e svela con semplicità la sua casa, la moglie Susie e il gemello di Arthur, Earl, come pure lo studio di registrazione dell’album, affollato dei suoi collaboratori; seduto in macchina, mentre viaggia sulle strade di Brighton, risponde pacatamente – ma talora non senza enfasi, soprattutto quando cerca di descrivere la sua situazione – alle domande che gli vengono poste e ammette quanto ciò che sta facendo gli appaia privo di senso. Il suo approccio alla sofferenza è totale, la pena è un sentimento sempre presente e ‘filtra’ la visione del mondo: sono reazioni che forse apparterrebbero a chiunque ma, rispetto a ‘chiunque’, grande ci sembra la sua capacità di analizzarle e sviscerarle e, di continuo, emerge la personale necessità di manifestare quell’angoscia, per non permetterle di avere il sopravvento. Quando, poi, il pudore impedisce che si percepisca troppo dell’intimità dell’uomo, è la magia dell’artista, le note musicali, a raccontarci cosa ha dentro… basta guardarlo suonare e cantare. Nell’esecuzione dei brani di Skeleton Tree, Cave tocca apici di forza e poesia come poche altre volte si era visto prima e la regia lo asseconda completamente donandogli riprese suggestive e di grandissimo effetto, generalmente in bianco e nero, come accennato in precedenza, ma con un’eccezione: i colori ci sono in un pezzo, lo splendido “Distant Sky”, emozionante quanto emblematico – forse – di un presentimento di speranza. Ma le scene collettive, nelle quali egli si mostra insieme ai suoi cari, non sono meno efficaci e il ritratto che ne esce è quello di una famiglia tormentata ma non distrutta, provata ma comunque unita e, ancora una volta, ‘vera’. Per tutte queste ragioni, One more time with feeling, può essere, per gli spettatori, un’esperienza di vita e bellezza, da cui trarre infinito arricchimento: qui ci viene restituita l’immagine di un uomo e di un artista di prima grandezza, che suscita, oltre che ammirazione, affetto e simpatia…