Che il loro fosse un folk sui generis era già stato osservato in diverse occasioni e si era detto anche qui, a proposito dell’album del 2009 Runaljod – Gap Var Ginnunga, il primo dedicato al ‘suono delle rune’. Quest’anno, divenuti un po’ più conosciuti per la colonna sonora della seconda stagione della bellissima serie canadese Vikings – di cui consiglio vivamente la visione indipendentemente dalla musica – è uscito il terzo ‘capitolo’ incentrato sulle rune, intitolato Runaljod – Ragnarok. Così, dopo il primo disco della serie che si riferiva alla prima fila di rune del Fuþark, il più antico alfabeto runico utilizzato dalle popolazioni germaniche fra il II e l’VIII sec.d.C., i Wardruna hanno proseguito la loro originalissima ricerca musicale che, come accennato a suo tempo, include l’uso di strumenti tradizionali o addirittura costruiti appositamente con pelli e corni di animali o legno proveniente dalle zone delle rune e prevede anche l’inserimento di suoni tratti dalla natura o dall’ambiente: le emozioni che Runaljod – Ragnarok riesce a suscitare sono indescrivibilmente intense e derivano dalla creatività e dal senso poetico di un musicista, Einar Selvik, che, nei primi 2000, era stato attivo in gruppi vicini al metal o, comunque, a mondi sonori davvero ‘estremi’ e oggi disegna scenari intrisi di misticismo dal sapore rituale se non addirittura religioso. L’attuale line up è costituita, appunto, da Selvik e Lindy Fay Hella, mentre non è più presente Kristian “Gaahl” Espedal, ex cantante della band black metal Gorgoroth. Il titolo dell’album è connesso alla mitologia scandinava: la battaglia finale tra le potenze della luce e dell’ordine e quelle delle tenebre e del caos, in seguito alla quale il mondo sarà distrutto e quindi rigenerato. Visto l’alto valore anche concettuale, è evidente che il disco va ascoltato di seguito e forse ha poca importanza il commento di singole tracce: cerchiamo di limitarci a qualche sintetica considerazione. L’opener “Tyr” introduce l’ascoltatore in questo mondo misterioso, fatto di paesaggi minacciosi e sinistri, con i loro scuri colori nordici, in cui capita di ritrovare persino l’aggressivo suono dei corni (‘bukkehorn’, creati dalle corna di un montone!) mentre la sorda ritmica tribale scandisce le fasi di un tempo che fu. Nella seguente “UruR” si percepiscono chiaramente i versi degli animali nel più straniante dei contesti naturali, mentre le percussioni insistono nella loro cupa ossessione e la voce sembra quasi una preghiera. Ma è con “MannaR – Drivande” e “MannaR – Liv” che si raggiunge un apice di intensità che dà il batticuore: la prima è strumentale ed ‘atmosferica’ ma non manca il palpitante ‘tocco’ tribale, la seconda emoziona con la dimensione corale del canto ed il liquido suono della ‘klavik lira’. In odore di capolavoro, poi, “Raido”, dall’evidente sapore folk, che porta tuttavia l’impronta magica di certi brani dei Dead Can Dance; da menzionare anche “Odal”, di una suggestione sconvolgente: un gioco di cori e voci diverse, sensazioni e suoni ultraterreni che tutti concorrono ad un’atmosfera fatta di sacralità e di luce. Infine “Runaljod” conclude con una meravigliosa melodia sia l’album – sicuramente uno dei più belli dell’anno! – che la trilogia: musica per le orecchie e per l’anima.
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