Non si esaurisce la vena compositiva del progetto Diaspora Psichica, concepito da Francesco Maggi e Riccardo Martucci, che, dopo l’inatteso interesse destato da Repeti Animae, rilasciano i primi dell’anno il secondo lavoro, Eprom. Già il fatto che il suo titolo sia l’acronimo di Erasable Programmable Read Only Memory, espressione del linguaggio dell’elettronica digitale che indica la ‘memoria di sola lettura programmabile e cancellabile tramite raggi ultravioletti’ la dice lunga circa i contenuti dell’album, impegnativi almeno quanto quelli del precedente Repeti Animae. Le tematiche affrontate dai due, infatti, non sono di poco peso: se in Repeti Animae al centro della riflessione era una visione molto pessimistica del mondo considerato come un’entità ‘costretta’ entro limiti imposti da un’intelligenza artificiale, sulla quale l’uomo pareva non avere possibilità di controllo, in Eprom si fa riferimento alla capacità di riprogrammare la mente umana mediante la ragione, superando i condizionamenti cui è sottoposta dall’ambiente circostante: che questa idea, nonostante la sua complessità sia sintomo di un qualche ottimismo? A giudicare dalla musica parrebbe di no, anche se, rispetto al disco dell’anno scorso, un paio di cambiamenti si registrano. La sostanza umana appare più distinguibile e meno aleatoria ed i plumbei scenari che avevano reso impenetrabili certi momenti di Repeti Animae risultano un filo meno opprimenti pur nella fitta densità dei suoni elettronici, sviluppando una manciata di brani sicuramente dark ambient, ma meno lugubri e lenti, ravvivati qua e là da una sorta di ‘movimento’ ritmato anche se, come si è appreso, non sono state utilizzate le classiche sezioni ritmiche se non nell’ultimo pezzo, “Thelema”. Nonostante la suddivisione in otto ben strutturate tracce, Eprom sembra rappresentare una coerente unità finalizzata alla comunicazione del messaggio: lo si percepisce fin dall’esordio ‘minaccioso’ di “Transmission” in cui è sempre rilevante la presenza della ‘macchina’ nella sua meccanicità impersonale e la voce computerizzata aleggia nella freddezza di un contesto puramente tecnologico. La seguente “Vision” presenta un ‘tessuto’ elettronico di suoni ‘sospesi’ sui quali spicca la parte vocale, sempre ‘robotica’ ma assai meglio individuabile e lo stesso accade in “Equilibrium” ove tuttavia l’elettronica pare ampliarsi ad orizzonti dal sapore cosmico (o si dovrebbe dire ‘kosmisch’?); “Daleth” torna all’uniformità ripetitiva ed impersonale – ma quanto angosciante! – di un universo gravato dalle macchine, nei cui oscuri meandri l’essenza dell’uomo si perde. Ma in “Vertigo” i suoni elettronici sono densi e pieni, fino quasi a rappresentare immagini e parvenze di paesaggi e “Aeternum” esordisce con sonorità vibranti e drammatiche ma non inaccessibili, ad introdurre il gelido parlato, le cui parole, comunque, provengono da una voce inconfondibilmente umana. Infine, “Hysteresis Human Mind”, nel progressivo ‘alleggerirsi’ dell’atmosfera, occasionalmente produce addirittura una sorta di melodia e “Thelema” conclude con ritmica simil-tribale, come fosse una celebrazione rituale, un disco che mette efficacemente in musica una lucida e consapevole visione del mondo e della collocazione dell’uomo in esso: oscura e dark, con ogni evidenza, ma sempre affascinante e, soprattutto, un po’ più vicina.
Sicuramente un album aperto a un più ampio orizzonte ( rispetto a Repeti Animae ) verso il quale l’umana coscienza sembra farsi strada. Attraversando i territori cupi e freddi dell’artificialità e dell’automazione, la rielaborazione del sé di EPROM lampeggia di luce ultravioletta.