Tanks and Tears. Foto di Mrs Lovett

Dopo aver perso così tante occasioni di poterli ascoltare dal vivo, non potevamo rinunciare alla data dei Soviet Soviet a Prato, anche se la precedente esperienza al Capanno Blackout per il concerto dei Kill Your Boyfriend era risultata parecchio stressante. Dunque, tenendo conto, stavolta, in modo più elastico, degli orari indicati dagli organizzatori, abbiamo raggiunto il locale pochissimo prima che aprisse le porte al pubblico e venissero distribuite tessere e biglietti. Corroborati dall’ordine assolutamente accettabile con cui l’evento si andava svolgendo, è stato un vero piacere, poco dopo l’arrivo, accogliere la band scelta per aprire la serata, i Tanks and Tears.
Il trio formato da Matteo Cecchi, Claudio Pinellini e Francesco Ciulli giocava praticamente in casa, dal momento che tutti loro provengono dall’area Prato/Firenze: tre ragazzi davvero giovani ma nel complesso disinvolti e padroni della scena, che hanno rapidamente conquistato l’attenzione del pubblico, all’inizio un po’ sparpagliato, con un sound forte e solido. Il loro debut album Aware è uscito di recente per SwissDarkNights: da questo, i ragazzi hanno selezionato i brani migliori e li hanno eseguiti con energia e – perché no? – una sensibile potenza che hanno scaldato gli animi. La chitarra di Pinellini si è mostrata subito assai più ‘robusta’ e tirata di quanto si percepisse dal disco e, inoltre, lui stesso ha fatto di tutto per mettersi in evidenza, muovendosi in modo così frenetico da ‘riempire’ ampiamente la scena. La malinconica “Breath”, di cui avevamo detto altrove, ha acquistato dal vivo passione e calore, per non parlare della bellissima “Inca”, già piuttosto impetuosa in origine. Anche il batterista Ciulli ed il bassista/vocalist Cecchi si sono fatti molto onore ma la voce, forse per cause tecniche e per l’acustica in genere non impeccabile, è risultata tutto il tempo un po’ sacrificata dai suoni, perfino nei brani in cui, a mio avviso, ha un ruolo fondamentale e di solito è travolgente, come “Jump Into Your Heart” e “Plasticine”. In ogni caso, i Tanks and Tears hanno fornito una prova di rilievo e hanno convinto un po’ tutti, anche quelli che non li conoscevano e stavano aspettando i più affermati Soviet Soviet.

Soviet Soviet. Foto di Mrs.Lovett

‘Reduci’ da un mancato tour negli Stati Uniti, Costantini, Giometti e Ferri hanno pubblicato nel 2016 un album straordinario, Endless, che molti, incluso chi scrive, hanno inserito fra i dischi dell’anno.  Endless  è un lavoro pieno di passione e con tutta l’urgenza del postpunk, che non tralascia qualche momento melodico anche se di intensità vibrante: ecco che si resta sorpresi all’apparire dei tre timidi e minuti Soviet Soviet, dai quali non ci si aspetterebbe l’esibizione dirompente cui danno il via. La verità è che il trio ‘spacca’ proprio, fin dal principio. Il bassista/cantante Giometti ‘dilaga’ sul palco con il suo strumento che, talvolta, sembra prendergli la mano e procedere da sé, costringendolo all’inseguimento; la voce – da vicino ancora più ‘nasale’ – ha una potenza quasi inattesa per chi l’abbia ascoltata soltanto dai dischi e l’intera figura, fra salti e ‘urletti’, emana una carica che non può non coinvolgere. Gli altri due hanno un contegno meno ‘spettacolare’, eppure appaiono perfettamente disinvolti in quel ‘pianeta’ traboccante rabbia, vitalità e tormento che è la loro musica. Al di là dell’aspetto e dell’atteggiamento, i Soviet Soviet suonano bene e sanno rendere partecipe il pubblico del piacere che provano nel farlo. Così, uno dopo l’altro, ci vengono presentati alcuni brani di Endless: “Endless Beauty”, stasera decisamente meno ‘accomodante’ del solito, “Fairy Tale”, che apriva l’album e qui va con ‘pestoni’ di basso che quasi fanno male o la strepitosa “Rainbow” che fa pensare ai Joy Division, furiosi più che tristi; anche “Blend” e “Pantomime” – grande pezzo! – giungono ben gradite. Ma la band ripropone anche qualche episodio dell’indimenticato Fate: la oscura e cattivissima “1990”, la sferzante ed aggressiva “Further”, che, al riascolto, rivela impensate reminiscenze punk o “No Lesson”, che era una delle tracce più malinconiche e suggestive. I Soviet Soviet, in pratica, ci hanno tenuto in pugno l’intera serata e si sono meritati tutti quanti gli applausi che i presenti hanno tributato loro. Siamo andati via con la testa ‘leggera’, commiserando sinceramente gli americani…

Soviet Soviet. Foto di Mrs.Lovett