Sembra passato un tempo lunghissimo dalla data in cui gli Slowdive, una delle ‘glorie’ del dreampop/shoegaze fin da fine anni ’80, si sciolsero, avendo pubblicato soltanto tre significativi dischi. Nel 2017, dopo che le voci di una reunion circolavano già da parecchio, ecco apparire Slowdive, il quarto album in studio, contenente materiale nuovo anche se decisamente in linea con lo stile che la band, che oggi si ripresenta con la medesima formazione del primo lavoro Just for a Day, ha sempre avuto. Diciamo che, rispetto all’inizio della loro attività, tanta acqua è passata sotto i ponti e l’effetto ‘sorpresa’ si è molto attenuato, anche perchè gli Slowdive, come i My Bloody Valentine e altri della ‘schiera’ hanno avuto, nel corso degli anni, un esercito di ‘imitatori’. Tuttavia questo Slowdive non è certo da ‘demonizzare’ e, a mio avviso, rappresenta qualcosa in più di una semplice operazione nostalgia. Vediamo nei dettagli. L’esordio, con “Slomo”, è di tutto rispetto: malinconie avvolgenti, chitarre fluide e raffinate che aprono orizzonti di vera poesia mentre la voce di Goswell risalta in particolare alla fine, tutta cristallina purezza. Poi troviamo “Star Roving”, più facile e vicina al pop – è stata infatti proposta come primo singolo – tuttavia accattivante e caratterizzata da un ritmo energico quanto ‘gentile’; più rilevante, forse, la successiva “Don’t Know Why” che ricalca quel mood ma vi aggiunge i delicati ‘cinguettii’ della vocalist ed un clima sottilmente teso. Ma da qui in poi compaiono i brani migliori: “Sugar For The Pill”, con il suo inizio ‘assorto’ ed il prosieguo ‘nobilitato’ da chitarre argentine e il canto bellissimo di Neil Halstead… difficile non restare conquistati e “Everyone Knows”, la più ‘aerea’ e sempre e comunque dominata da una malinconia dai colori ‘soffusi’ cui la parte vocale di Rachel Goswell conferisce molto lirismo ed emozioni di ‘trasparente’ levità. Poi, bypassati gli accenti ‘intimisti’ di “No Longer Making Time”, “Go Get It” allarga spazi e respiro regalandoci un momento quasi ‘ultraterreno’ e la conclusiva “Falling Ashes” chiude con suoni dal sapore post-rock e la suggestione infinita di un ‘doppio’ canto un disco di cui gli Slowdive non dovranno certo vergognarsi… anzi!
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