Vengono da Francoforte e rappresentano l’ultima frontiera del postpunk nonostante la loro giovane età i due Lea Porcelain, che hanno pubblicato quest’anno il debut album Hymns to the Night. Indubbiamente non avrebbero potuto trovare titolo più bello e dagli echi più profondi – a chi non ricorda il meraviglioso poeta Novalis? – e, in effetti, con la notte i due sembrano avere molta affinità se, pur riprendendo varie istanze del postpunk tradizionale, hanno scelto di svilupparne gli aspetti più crepuscolari e onirici, creando atmosfere avvolgenti e di suggestiva semplicità, in parte malinconiche ma talvolta desolate, alle quali comunque abbandonarsi per sognare; l’insolita freschezza del loro sound, dopo tanto epigonismo, non può non suscitare un respiro di sollievo. L’opener “Out Is In”, uno degli episodi più tenebrosi, caratterizzata com’è da una ritmica aggressiva e da un mood febbrile e carico di tensione, in cui il canto si perde fra sonorità libere e frastagliate . Poi, in “Bones”, uscito anche come singolo, prevale invece un clima più introspettivo nonostante i suoni, condotti da una trama elettronica fitta e opulenta rimangano consistenti; un pizzico di bizzarro romanticismo arriva dalla successiva “A Year from Here”, una sorta di ballata un po’ ‘sghemba’ incorniciata da note di ukulele e da asimmetrie elettroniche inusitate mentre “Warsaw Street” rende un doveroso e molto personale omaggio ai numi tutelari del genere, completandolo con un tocco shoegaze. A seguire troviamo i suoni oscuri e il canto sofferto di “Similar Familiar”, l’intermezzo brevissimo ma doloroso e patetico di “White Noise”, la visione intrisa di shoegaze – qui ben più che una ‘rifinitura’ – di “The Love”: la seconda parte dell’album appare decisamente più tormentata e dark, con momenti sempre sognanti ma profondamente tristi, come “Remember” o un’ispirazione nuovamente vicina ai Joy Division – se non addirittura i New Order – come è il caso di “12th of September”. A chiudere il disco “Endlessly”, che inizia con note sommesse di chitarra per poi dilagare nella tensione vibrante sostenuta dal basso e dalla voce con i suoi toni inquieti: una bella conclusione per un lavoro onesto e ispirato che si ascolta volentieri.
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