Il rientro sulle scene di My Bloody Valentine, Ride e Slowdive ha restituito la giusta visibilità alla galassia shoegaze che, pur se dai margini estremi dell’universo indie, non ha mai smesso di pulsare. I “nostri” ed ottimi Clustersun ne sono un esempio, l’appassionato omaggio alla band di Rachel Goswell assemblato da The Blog That Celebrates Itself Records (“Just for a life” che giocava con uno dei titoli più centrati del gruppo di Reading) forniscono validi indizi, eppoi giunge Radiogaze a cementare la convinzione che qualcosa sta accadendo… Dinanzi al muro sonoro innalzato dai cinque russi di stanza a San Pietroburgo (ma provenienti dalla Siberia, sarà per questo che le atmosfere più dilatate sono loro così congeniali?) non si può rimanere indifferenti, ed indagando sulla loro recente vicenda (sono operativi dal 2015!) auspicare un futuro ancor più roseo e provvido di soddisfazioni è lecito. Radiogaze compila una serie di canzoni già mature come “So cold”, “Out loud” e “Falling stars”, le quali tradiscono una inclinazione al pop che lascia presagire ulteriori sviluppi, o come una “We” (già singolo) che costituisce un valido aggiornamento al Bignami dello shoegaze, guidata da un basso pulsante e da una batteria snella, eppoi quelle chitarre che sfiorano il cielo… Ma sono evidenti anche influssi ascrivibili al post-rock, a certa psichedelia alla quale i loro predecessori non hanno voluto rinunziare, nel nome di un sound immaginifico che ritroviamo con piacere, nostro e loro (la sognante “Not enough”). (PS: hanno all’attivo un omonimo eppì datato 2016 ed una partecipazione alla compila-tributo a The Cure con una versione di “Pictures of you”).