L’intro che intitola il disco ci fornisce degli indizi importanti dei quali dovremo tener conto per ben approcciare My second birth/My only death dei This Void Inside, il quale segue di dieci anni l’esordio “Dust” patrocinato allora dalla Decadance Records. Trattasi di opera imperniata su sonorità ampie e grintose dagli onnipresenti e veementi fraseggi di chitarra che s’intrecciano alle ariose tastiere ed ad una sezione ritmica vivacissima, con il cantato enfatico di Dave (che fa proprie anche le keys) pronto ad ergersi a protagonista, come in “Betrayer MMXVIII” e nella spedita “Relegate my past”, mentre a “Memories’ dust” è stato opportunamente affidato l’onore/onore del singolo apripista, trattandosi di una bella traccia corale che poggia su sonorità synth/pop anni ottanta (Depeche Mode ma anche Human League!) corroborate dall’imponente muro elevato dalle sei corde dei due recenti innesti Frank Marrelli e Alberto Sempreboni, pronti all’appello dell’a-solo classic-metal, componente fondante di My second birth/My only death che non mancherà così di far incetta di ulteriori seguaci. Ascoltate con attenzione “Trapped in a daze”: batteria (dell’altro nuovo entrato Simone Gerbasi) e basso (della veterana Saji Connor) che preparano il terreno alla coppia d’asce, al resto bada il cantante, attento a conferire la giusta dose di lirismo (nel finale sopra tutto) ad un episodio esplosivo valorizzato da una produzione eccellente. Evidentemente il tempo trascorso è stato capitalizzato adeguatamente dal combo capitolino, vista la cura riservata al prodotto finale, posizionandosi My second birth/My only death su livelli degni dei prosceni internazionali. Una proposta che non si spoglia del proprio passato e non rinnega le proprie fonti d’ispirazione, confezionando un’opera per nulla derivativa valorizzando riferimenti che nel genere sono da considerare imprescindibili, ma fornendone una versione personale ed aggiornata. Anche nei frangenti più meditati i TVI fanno attenzione a non scivolare nel lezioso (“Another fucking love song” già dal titolo intende ripudiare i cliché frusti della ballata ad ogni costo), nei mid-tempo come “Losing my Angel” si apprezza la coesione dell’insieme, che il produttore Gianmarco Bellumori (che ritrovo con piacere, possiedo i ciddì dei More!) rende vieppiù profittevole alla riuscita finale del progetto. “Meteora” (no, i Linking Park non c’entrano) vanta al presenza degli ospiti Max Aguzzi (dei Dragonhammer) e dell’ex-DGM Diego Reali, nei suoi quattro minuti e poco più sviluppa un tema sonoro assai vario, al contrario della lenta ed introversa “Ocean of tears”, tutta giocata sull’interpretazione accorata del vocalist e su un costrutto goth assai gradevole. Potrebbe giocarsi la carta del singolo, magari accompagnata da un bel video (i TVI vincono per distacco sugli HIM!). L’incipit di “All I want is U” farà sobbalzare chi si nutre di dark ottantiano, tutto merito della batteria che pare presa pari pari dai primi The Mission, poi l’ingresso del resto dell’insieme ci conduce su lidi più propriamente sympho/goth-metal, esercizio risolto con naturalezza dal quintetto che a questo punto della scaletta nulla ha più da dimostrare. Ancora tre tracce (delle quali due sono classificate come bonus-track) per chiudere My second birth/My only death: “Break those chains” gioca ancora sui contrasti (tastiere sognanti, basso/batteria discreti, chitarre che appaiono e scompaiono), mentre sorprende lo spessore di una composizione come “The artist and the muse”, ove Francesco Peleggi recita (in madrelingua) un estratto da “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi” di Cesare Pavese, poesia che venne pubblicata dopo la scomparsa dell’Autore. Brano che s’inserisce perfettamente, per tematica e per temperamento, nel contesto lirico del lavoro dei romani (stabilendo una corrispondenza con quanto operato dai Klimt 1918 con la rilettura pasoliniana di “Stupenda e misera città”). “Downtrodden” nulla aggiunge a quanto esposto, contiene però dei fattori d’interesse che giustificano appieno il suo inserimento nella corposa track-list di My second birth/My only death. E’ evidente che il lungo silenzio ed il desiderio di rendere pubbliche le sue recenti prove hanno indotto (giustamente) Dave Shadow a pubblicare un volume quanto più organico possibile che renda giustizia all’immane mole di impegno profuso. Abbraccia un pubblico potenziale assai vasto, non ostante la lunghezza non indifferente si sottrae a passi falsi ed alla tentazione di ripetersi, sopra tutto ogni singola traccia è interpretata con bravura e, pur ancorandosi a stilemi già esposti in passato, suona moderna e spontanea. Diversi spunti dovranno essere sviluppati presto, però, il Tempo non concede sconti!