Riemergono dai più oscuri anfratti degli anni ’90 i Simon Dreams in Violet, band romana formatasi nel 1992 e divenuta di culto all’interno della scena goth di quel tempo tanto che, nonostante le poche uscite, per lo più a cura della Energeia di Napoli, sono ancora ricordati e citati e non solo da coloro che ne hanno seguito le sorti direttamente. Quest’anno la SDN, nell’ambito della collana retrò di recente inaugurata, che prevede la riscoperta e la distribuzione di opere italiane del passato poco note o cadute nel dimenticatoio, pubblica Dreaming The Lost 1992-1996, una preziosa compilation di sedici tracce – rimasterizzate da Marco Milanesio presso l’O.F.F. Studio di Torino – che rappresentano, per così dire, la ‘crema’ della loro produzione. Parliamo per prima di “In My Dreams”, già nell’album del 1994 Dreaming The Lost, deliziosa perla ‘gotica’ con chitarra e basso spettacolari e una parte vocale travolgente, nello stile che ha reso così riconoscibile il frontman Massimiliano Maria De Franceschi. Subito dopo, una versione di “The Lake-to-”, brano il cui testo contiene la lirica di Poe The Lake e ne interpreta la sostanza drammatica attraverso una chitarra ‘corrosiva’ e il basso martellante, mentre la seguente “Sensation”, presente nel lavoro del 1993 Simon Dreams In Violet, ‘irrompe’ con ‘gotici’ arpeggi per poi confluire nelle tonalità struggenti del canto e “Cambiamenti”, l’unica in italiano, si impone con la sua estenuante malinconia che si traduce in disperazione nella ripresa finale. Quindi, se “She Walks” è pervasa da un certo clima lugubre e la voce si manifesta con inquietante asprezza, “Dreaming in Violet” è un trionfo di chitarra e basso con canto in modalità fra l’evocativo e il passionale, e “Cold” con il suo andamento ineguale giunge a vertici inimitabili di oscurità; “Frau Death” conduce in paesaggi tristi sottolineati da una tormentata chitarra. Ma occorre menzionare anche l’affanno ‘gridato’ in “Lust”, sotto l’egida dei Sisters of Mercy, e la sua chitarra lacerante o, poco più avanti, “Paranoia”, di cui non si può non apprezzare il basso e ancora l’impetuosa “Insanity” che, dal vivo, deve aver fatto la sua figura; insieme alla notissima “Lestat”, dall’aura sofferta e decadente e alla conclusiva, strumentale “Alice Suicidée”, un vero ‘compendio’ – dura poco più di due minuti! – di sonorità gotiche dal profumo antico, tutte delineano l’immagine di una bella band italiana dai tanti meriti ma dalla vita troppo breve.
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