Pur non essendo l’EBM il mio sottogenere favorito, adoro William Maybelline da quando l’ho visto dal vivo con i Lebanon Hanover, in particolare per l’intensità con cui ha cantato un paio di pezzi: mi cimento quindi volentieri con questa recensione, certa della sincerità di questo artista.

La title track “Cyber Care” è un pezzo degno della migliore tradizione dell’elettronica hard Nord Europea, contaminato da sonorità morbose alla Skinny Puppy, enfatizzate anche dall’uso della distorsione sulla voce in alcuni tratti del brano; è come una rappresentazione sonora delle contrazioni di una persona intrappolata in un incubo da cui non riesce a risvegliarsi, o da cui non c’è risveglio, e la cui unica cura potrebbe essere un sincopato urlo elettronico.

“Inject your mind” è ipnotico, quasi ripetitivo, come i suoni di una catena di montaggio, o i gesti che ripetiamo quasi automaticamente, come robot di carne impegnati nella frenetica danza quotidiana delle piccole cose.

In “I have to return some videotapes” la voce di William è al meglio della sua intensità ed espressività: un trascinante veicolo emotivo. La base musicale è sempre veloce ed elaborata, ma personalmente sono rimasta particolarmente colpita dai piccoli stacchi in cui si inserisce un synth più freddo e melodico, con una melodia dalle suggestioni funeree.

In “Motherblood” i ritmi sono circolari: sequencer che si sovrappongono gli uni agli altri in un vortice sonoro. Anche qui la voce è piena di pathos, un canto che pare un lungo “cahier de doléances” o un’implorazione oscura che si eleva dalle tenebre per invocare la luce Luciferina.