Duo formato dall’americano Chad Davis, che si occupa degli strumenti, e dalla cantante norvegese Anette Uvaas Gulbradsen. Entrambi con trascorsi in altre sigle, hanno all’attivo come The Sabbathian un eppì, “Ritual rites” del 2014, tre tracce che sviluppano un doom assai canonico, quasi una prova generale poi abortita, con l’appoggio di Joey Downs alle chitarre. Poco a che spartire con il full-length Latum alterum che poggia su riff che compongono nel loro reiterarsi quasi circolare un tappeto sonoro omogeneo, applicato suonato con imperturbabile dedizione black. E la voce, magnifica e possente, evocatrice di riti ancestrali, ad ergersi a guida. Brani come “The brightest light” e “Liti kjersti” posseggono una forza immane, sono parte di una liturgia doom ancestrale che trae ispirazione dal passato remoto (il secondo citato riarrangia un tradizionale del Telemark, ed è uno degli episodi meglio riusciti del lotto). Ma non è Latum alterum opera votata all’oscurità più impenetrabile, ed è Anette a trarci dalle ambasce levando fiera il suo canto (che divide con Liv Kristine nella ferale “Head of a traitor”), si ascolti la bonus-track “This secret obscure”; l’operato di Davis è lineare, non discostandosi da un tema che viene sviluppato solo in parte. Ma questa è probabilmente l’intenzione dei due, affidarsi ad uno stile espositivo scevro da compromessi. Che è il senso stesso del doom, il suo significato più profondo, la sua ragione d’esistere. Uno spirito puro ed incorrotto che molti, troppi oserei, hanno barattato per pochi spiccioli, addivenendo a risultati assai biasimevoli. La raggelante cadenza di “One night of cruelty” è uno dei suoi proclami più fieri, estremo baluardo all’incalzare delle pose effimere (lo spirito ardente della traccia viene stemperato dai dolci vocalizzi che segnano il suo epilogo). Più tradizionale è la guerresca “Embrace the dark”, fiero estratto di doom epico evocante la magniloquenza di Candlemass/Solitude Aeturnus ma anche dei Sabbath di “The headless cross”. Ma “Evig Hvile”, alla quale s’unisce l’outro “Libera me…” ristabilisce l’ordine, ed il cammino riprende. Lancio la sfida, rispetto a “Ritual rites” Latum alterum svela l’anima più incontaminata (ed intransigente) dei The Sabbathian. E doom sia.
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