Fenriz non è un sopravvissuto. I Darkthrone, per il black come andrebbe inteso, sono sempre esistiti. Fenriz e Nocturno Culto. Il black metal.

I Darkthrone sono l’innesto tra i Motorhead ed i Celtic Frost. Old star è un disco dei Darkthrone. Nelle parti veloci esala miasmi di marciume (“I muffle your inner choir”). Ma è quando rallenta che si prova la sensazione che qualcosa di maligno, di oscuro e di spietato alberghi negli anfratti più reconditi di questi inni immortali al nichilismo ed alla ribellione. Pulsioni che manifestano quanto di più metal possa venir instillato in una canzone. “The hardship of the scots”, non a caso pubblicata come singolo di apertura, è una traccia sublime. E’ heavy-doom suonato dai Darkthrone, è rock’n’roll putrescente. Rumore di crani spaccati da mazze impugnate da entità mostruose mosse da istinti inconcepibili per un umano. E’ un suono che già avevamo ascoltato, che aveva già fatto la sua comparsa nei dischi del passato. Che per i Darkthrone è anche il presente, perché essi sono immortali. Ed il Tempo, in quanto tale, per loro non ha senso. Old star conta sei brani, nemmeno quaranta minuti di durata. Perché aggiungere tracce superflue? La title-track paradossalmente costituisce l’anello debole della raccolta, ma con “Alp man” il livello torna ad alzarsi, rilasciando il songwriting indizi che fanno risalire anche agli anni settanta (circa a metà brano fa la sua comparsa un riffing iommiano). Non verrà catalogato fra i capitoli nodali della carriera dei norvegesi, ma saprà difendersi, Old star , come è nello spirito di Nocturno Culto e di Fenriz, il ritmo forsennato al quale si viene sottoposti con “Duke of Gloat” suona ben più di un semplice monito. Eppoi “The key is inside the wall”, rientra il doom, l’atmosfera si fa più cupa, pesante, anche quando prende il sopravvento il furore esecutivo. Orazione funebre per l’umanità stolta. La rabbia dei Darkthrone, la loro dichiarazione finale: sono sempre esistiti, loro “sono” il black metal.